NOVEMBRE 2017 (Anna, Gianfranco, Christiane, Franco)

16 novembre – il treno ha un’ora e dieci minuti di ritardo, quindi corriamo a casa a posare le valigie, poi andiamo a raccogliere Anna e Gianfranco che ci aspettando all’uscita della metropolitana di St. Paul. Spesa, infine a casa per cena veloce, siamo tutti stanchi del viaggio.

Place des Vosges

17 novembre – La giornata è grigia, ma non piove, e ci prendiamo tutte le ore di luce per fare un ampio giro Ci dirigiamo verso Place de la Republique, poi ci addentriamo nell’alto Marais e lo attraversiamo fino al Beaubourg. Qui evitiamo le mostre, anche se l’artista di punta è André Derain (ci accontentiamo del catalogo), ma saliamo con la scala mobile fino all’ultimo piano: il panorama è sempre superbo, peccato un po’ nebbioso.

Panorama dal Beaubourg

E’ ora di pranzo, e gustiamo un’ottima crepe salata comodamente seduti alla Creperie St. Eustache.  Ci avviamo verso il Quartiere Latino, e facciamo una sosta nella meravigliosa St. Germain l’Auxerrois, esempio perfetto di gotico flamboyant, con vetrate superbe e un altare laterale in legno intarsiato dedicato a Santa Geneviève.

Attraversiamo la Senna all’altezza del Pont des Arts, e costeggiamo il fiume fino alla libreria Shakespeare, un piccolo spazio che mantiene nel tempo la sua unicità, la sua atmosfera fuori da ogni schema, fatta di rispettoso silenzio ed esuberante curiosità dei lettori. Come al solito, è affollata di giovani (e diversamente giovani) che consultano, scuriosano, scelgono libri in inglese. Appena dietro la libreria, aperta da Silvia Beach, che per prima mise in vendita l’Ulisse di Joyce, testo proibito in Gran Bretagna e Stati Uniti, incontriamo la piccola, bella chiesa ortodossa di St. Julien le Pauvre.

Cominciamo ad arrampicarci verso il Pantheon. Qui la tappa più interessante è costituita dalla visita, guidata, alla biblioteca di Santa Geneviève. Ci si rende subito conto di essere all’interno di qualcosa di molto prezioso, non solo bello. La struttura si deve a Henry Labrouste, ed è precedente alla Tour Eiffel, ma ne anticipa la scelta di usare il ferro e il vetro, qui anche con la pietra. E’ incantevole la leggerezza delle colonnine di ferro che sostengono la cupola in vetro, un magico gioco di equilibri perfetti che, pur lavorando su pesi e dimensioni notevoli, offrono l’illusione di una struttura delicatissima. I tavoli e le sedie riprendono il disegno dei mobili originali, così come le lampade da tavolo, oggi elettriche, ma identiche al modello a gas disegnate apposta. La biblioteca contiene 100.000 libri stampati, solo consultabili e gestiti da un efficiente sistema meccanico. In una sezione a parte, che si raggiunge attraverso un corridoio con una piccola collezione di oggetti tribali, è conservato un considerevole numero di manoscritti,  disponibili per i ricercatori, ma gelosamente protetti.

La biblioteca presenta, in questo periodo, gli interessanti disegni del movimento CoBrA (Copenhagen, Bruxelles, Amsterdam), costituito da un gruppo di artisti sperimentatori, che cercavano una nuova strada dell’arte dopo la seconda guerra mondiale.

Usciamo, molto soddisfatti, e finiamo di riempirci gli occhi con St. Etienne du Mont. Ancora una chiesa gotica, ancora vetrate meravigliose, in più lo spettacolare ambone a tramezzo che sovrasta l’altare e termina con due eleganti scale a chiocciola.

St. Etienne au Mont

Ormai è tardi, ci avviamo verso casa passando attraverso l’Ile St. Louis. Poi, una spesa veloce, e la cena tutti insieme.

18 novembre – Con la metropolitana raggiungiamo Montmartre, dove facciamo un giro piacevole in mezzo alla solita folla di turisti: da Place du Tertre siamo scesi verso rue des Saules, dove c’è la Maison Rosa e la vigna di Montmartre. Tornando indietro, siamo passati da piazza Jean Rictus, dove abbiamo ammirato il curioso muro dei “Je t’aime”, opera murale di Frédèric Baron, Daniel Boulogne e Claire Kito.

Montmartre

Prendiamo la metro per arrivare a Boulevard Haussman. Qui ci accolgono le decorazioni natalizie, festose e in movimento, dei Magazines Lafayette. La cupola liberty è un tripudio di palloncini colorati che volano. Dopo un veloce pranzo, iniziamo la visita del Museo Jacquemart André. Si tratta di un hotel particulier dove è raccolta la strepitosa collezione d’arte di questa coppia di coniugi (lui banchiere, lei ritrattista) illuminati e generosi che, nella loro vita, hanno raccolto opere di inestimabile valore e hanno deciso di regalare casa e tesoro alla città. Oltre ai locali domestici, preziosamente decorati e arredati, ammiriamo la collezione pittorica straordinaria: Canaletto, Guardi, Rembrant, Van Dick, Mantegna, Donatello, Andrea della Robbia, e gli affreschi (scollati e riportati su tela) di Gian Battista Tiepolo.

La visita, già estremamente interessante, ha ancora più valore perché propone l’esposizione temporanea della collezione Ordrupgaard, raccolta dalla coppia di mecenati danesi Wilhelm e Henny Hansen. Qui prevalgono gli impressionisti, e i capolavori esposti sono di grande bellezza: Manet, Monet, Pissarro, Corot, Cezanne, Matisse, Sisley, Gauguin, Degas, Courbet e Suzanne Valadon

La visita richiede molto tempo, rientriamo (molto soddisfatti) verso casa, facciamo la spesa e concludiamo la giornata, molto allegramente, intorno alla tavola imbandita.

19 novembre – Come sempre la domenica mattina parigina è dedicata alla spesa al mercato: muscoli, insalata mista, quiche di vari sapori e pane di diverse qualità. A Bastille costeggiamo il ramo della Senna dove sfocia il Canale S. Martin, quindi rientriamo con una breve visita al Village St. Paul, che si sta svegliando in quel momento, ed essendo ormai arrivata quasi l’ora di pranzo, mangiamo un falafel all’As du Falafel in rue des Rosiers.

Nel pomeriggio raggiungiamo la Tour Eiffel, perché non ci può essere gita a Parigi senza un doveroso omaggio alla Tour (ahimè senza salita), poi ci portiamo sugli Champs Elysées e li percorriamo quasi tutti, mentre aspettiamo che faccia buio e la città accenda le luci natalizie. Purtroppo non tutte sono già pronte per l’illuminazione, ma la rue Montagne lo è, e i suoi lussuosissimi negozi brillano dei riflessi dorati, con sullo sfondo la Tour illuminata.

Lumière de Noel

Ancora una volta ceniamo a casa, mangiando e bevendo molto bene

20 novembre – Stamattina andiamo alla Fondazione Louis Vuitton, dove è presentata la raccolta d’arte del MoMa di New York. Come sempre a Parigi, la visita si rivela estremamente interessante: la collezione è proposta in ordine di acquisizione con, in parallelo, la storia del museo, dal 1929 ai giorni nostri. Oltre duecento le opere in mostra, molti capolavori e numerose opere significative dei cambiamenti nei costumi, e nell’arte. Non mi faccio mancare la caramella che mi permette di essere protagonista nell’installazione di Felix Gonzalez – Torres. E sempre per smania di protagonismo, partecipo alla ricerca di OMA (Office for Metropolitan Architecture) facendo misurare la mia altezza e realizzando di essere alta come la stragrande maggioranza delle persone.

Tra le proposte più recenti, strettamente legate al passaggio da analogico a digitale, rimane un unicum la performance di Marina Abramovich “The artist is present” realizzata nel 2010.

Dopo tre ore piene di visita riprendiamo la metropolitana e scendiamo alle Tuileries, dove ci sediamo per un veloce spuntino. Nonostante il freddo, la sosta è molto piacevole.

Rirendiamo verso il quartiere Latino, ci spingiamo fino al Senato e ai Jardins du Luxembourg. Purtroppo è tardi, i giardini stanno chiudendo e non possiamo visitarli, ma abbiamo la fortuna di vedere una mostra insolita e interessantissima: una serie di acquarelli realizzati dall’artista Noelle Errenschmidt, che illustrano la legge e la Costituzione francese, le istituzioni, i palazzi governativi. Un modo fresco e leggero di capire come funziona lo Stato e le sue leggi.

Aspettiamo l’ora di cena nel grazioso monolocale di Christiane e Franco, infine ceniamo alla Taerene de l’Arbre Sec: ottimi soup a l’oignon e tartare de beuf per me.

Una parte della vacanza finisce qui, salutiamo Christiane e Franco che domani partono per Ginevra

21 novembre – E stamattina, anche se ci facciamo ancora un po’ di compagnia durante una breve passeggiata, partono anche Anna e Gianfranco.

Visitiamo la Chapelle Expiatoire, un luogo sacro dove sono sepolte molte vittime della rivoluzione, e che ha accolto i corpi di Luigi XVI e di Maria Antonietta, prima che fossero spostati nella basilica di St. Denis.

La visita inizia dal corridoio esterno, dal quale si osserva la facciata dove si apre una porta monumentale sormontata da un sarcofago. Qui sono riportate le parole di Luigi XVIII che esprimono la volontà di onorare il luogo di sepoltura del fratello, Luigi XVI e di Maria Antonietta.

Si entra in un piccolo vestibolo e si salgono alcuni gradini, prima di raggiungere il giardino interno. La sopraelevazione è stata ottenuta raccogliendo le ossa e i resti dell’antica fossa comune, qui presente ai tempi della rivoluzione: è quindi un luogo sacro.

Il giardino è circondato da pietre tombali simboliche, in ricordo delle guardie svizzere uccise durante l’arresto del re. Il corridoio che conduce alla cappella è limitato da un roseto bianco ancora fiorito. La cappella è rotonda, sormontata dalla cupola che sembra specchiarsi nei disegni del pavimento. Le figure intorno evocano temi religiosi, ma l’attenzione va alle grandi statue del re e della regina. Particolarmente commovente è l’ultima lettera di Maria Antonietta, rivolta alla cognata, quasi interamente dedicata all’affidamento dei figli e alle raccomandazioni per il loro futuro.

Chapelle Expiatoire, giardino

La visita è completata dalle magnifiche sculture in tessuto di Simone Pheulpin: un lavoro certosino fatto di ago e migliaia di spilli per produrre oggetti dalla superficie plissettata o lavorata quasi come pizzo. L’artista, autodidatta, crea opere uniche, costruzioni romantiche che sembrano uscite da un sogno.

Rientriamo tranquillamente a casa a piedi, una bella camminata corroborante, facendo le ultime spese per noi e per la cena.

22 novembre – Anche questa volta siamo arrivati all’ultimo giorno, e Parigi ci saluta con una giornata meravigliosa. Ci sono molte mostre interessanti, e cerchiamo di vederne più possibile.

La prima tappa è al Museo Malliol di rue de Grenelle, dove c’è l’esposizione di alcune opere appartenenti alla Pop Art e provenienti dal Whitney Museum di New York City: Icons that matter. Come sempre a Parigi, le mostre sono didascaliche, e questa non fa eccezione. Per ogni autore viene spiegato il percorso che lo ha portato a interpretare l’arte secondo la propria sensibilità, in un mondo (quello dopo la seconda guerra mondiale e poi della guerra in Vietnam) che sta cambiando rapidamente, dove il consumismo sfrenato, la pubblicità, la sovrabbondanza di informazioni condizionano l’esistenza. Ecco allora le griglie puntinate di Roy Lichtenstein, i collage drammatici di Robert Rauschenberg, l’irriverente Jasper Johns, il delicato Allan D’Arcangelo, gli innovativi Robert Indiana e James Rosenquist, il giocoso Claes Oldenburg, fino alla figura artisticamente più imponente, Andy Warhol.

Trascuriamo di visitare la collezione permanente, perché la conosciamo già, ma con tutto questo l’interessantissima visita ci porta via oltre due ore. Facciamo uno spuntino (croque monsieur e hot dog) e continuiamo fino alla Monnai de Paris, per vedere “Women House”. La mostra, che vuole rendere omaggio all’omonima esposizione voluta da Miriam Schapiro e Judy Chicago nel 1972, quindi nel periodo più ardente del femminismo, pone l’accento sulla condizione femminile, storicamente legata ai doveri domestici al punto da non avere più alcuna autonomia né libertà. Si passa dalla ripetitività senza senso del lavoro casalingo, alla prigione “dorata” dove una donna può trascorrere la vita, alla sensazione di oggettività nei confronti del maschio, fino alla sensazione di continua attesa nella vita delle donne. Ogni artista interpreta tutti questi concetti, usando tecniche e media del tutto differenti, con i riferimenti letterari di Una stanza tutta per sé, di Virginia Woolf e Casa di bambola di Henrik Ibsen. Logico pensare che in cima a tutte le artiste ci sia la figura irraggiungibile di Louise Bourgeois, presente con le sue Femmes – Maison e, in conclusione della mostra, il suo gigantesco Spider (che in realtà è una ragna) protettivo e accogliente, dove si può passare sotto riparati e ben accolti.

Il pomeriggio è già inoltrato, ma riusciamo a inserire ancora due visite. La prima al Collège des Bernardins, una costruzione medioevale della quale vediamo solo la navata, splendida e aerea con le sue colonne sottili che sorreggono le volte a crociera. Qui l’artista Claire Malrieux ha installato un video che illustra graficamente, ma in modo molto poetico, un ecosistema di fantasia dove tutte le informazioni sono connesse a livello globale e dove, nonostante la tecnologia, esiste il rischio dell’estinzione.

Infine, visto che l’abbiamo sotto casa, facciamo un giro alla Polka Gallery, dove è in corso la mostra fotografica “Femmes du monde” degli autori Sebastiao Salgado e Marc Riboud, mostra voluta e curata dalle mogli degli autori. Come le foto di Riboud sono curiose e allegre, quelle di Salgado riportano una figura femminile di grande bellezza, ma anche di grande drammaticità.

Sebastiao Salgado

Infine siamo a casa, a preparare le valigie

OTTOBRE 2018

25 ottobre – Il viaggio ormai consolidato con il treno si svolge in perfetto orario. A casa per sistemare, poi spesa e cena: formaggi, tra cui il mio adorato Comte, e vino rosso

26 ottobre – Il nostro ostricaro preferito è presente e puntuale in rue St. Antoine: prendiamo 12 huitres discretamente ciccione e due belle porzioni di gamberi rosa, freschissimi, dei mari francesi. Stasera la cena sarà super.

Dedichiamo tutta la giornata al Beaubourg: come sempre, con l’unico biglietto di ingresso si possono visitare tutte le mostre in corso.

Iniziamo con uno, per me, sconosciuto, Franz West. Incontrare questo artista austriaco, scomparso nel 2012, è una rivelazione, cominciando dal comprendere l’influenza che i suoi lavori, datati per la maggor parte negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, hanno fatto da apripista a molti artisti venuti dopo. Franz West non è classificabile, non appartiene ad alcuna corrente. Inizia come disegnatore, molto ironico e pungente, e continua come scultore informale, che ama tutti i materiali, compresa la cartapesta, e li forgia in modo tale che le sue opere possono, devono essere toccate, usate, sperimentate dal pubblico. L’opera più esplicativa è composta da alcuni scaffali di libreria, sormontati da piccole sculture dell’autore, scaffali dove l’autore stesso ha sistemato i suoi libri preferiti, che sono a disposizione della lettura e della consultazione del pubblico.

Lasciamo Franz West per visitare la mostra dedicata al Cubismo. Tutte le mostre al Beaubourg sono estremamente ampie, complete e ricche di spiegazioni esposte, tanto che non si ha bisogno di una guida. Qui c’è tutto il Cubismo, dalla nascita nel 1907 agli ultimi lavori del 1917 quando gli artisti più rappresentativi, provati nel corpo e nello spirito dalla guerra, cominciano a guardare altri orizzonti. Non si può capire il cubismo senza osservare le maschere tribali, intagliate dalle popolazioni ancora primitive dell’Africa. Si comincia poi con i maestri ispiratori, Cezanne e Gauguin, e finalmente i grandi protagonisti, Picasso a Braque. Ma sono molti di più gli artisti che hanno aderito in modo più o meno deciso a questo movimento, come Juan Gris, Sonia Delaunay, Francis Picabia. Anche Piet Mondrian non è rimasto indifferente, lui che continuerà con forme geometriche sempre più astratte e pulite. I cubisti hanno dipinto, scolpito, illustrato senza mai dimenticare che la loro pittura doveva ispirarsi ai solidi geometrici di base, sfera, cubo e cono. L’esposizione, estremamente ricca, si conclude con la ruota di bicicletta di Marcel Duchamp, che ci dice come l’arte abbia di nuovo bisogno di una svolta decisa.

L’ultimo percorso di vista è dedicato a Tadao Ando, architetto giapponese che, pur non potendo definirsi cubista, di fatto è tale. I suoi progetti si distinguono per l’estrema pulizia geometrica, per l’importanza della luce, per il protagonismo dei vuoti, ovvero della luce come nella straordinaria Church of Light.  Nella sua carriera anche due prestigiosi progetti italiani: la revisione della fabbrica Benetton a Treviso e la ristrutturazione di Punta della Dogana a Venezia.

Terminiamo il pomeriggio con un po’ di sano shopping da Uniqlo.

27 ottobre 2018

Giornata piena! Le mostre allestite a Parigi sono sempre così ricche e complete che riempiono tutta la giornata.

Al Musée des Arts Decoratifs visitiamo “Tutto Gio Ponti”, amplissima illustrazione della vita e dei progetti del grande architetto milanese. Ci dà il benvenuto la ricostruzione della porta della chiesa di S. Francesco d’Assisi al Fopponino, forata secondo la tipica forma a punta di diamante: un’entrata simbolica nel mondo di Gio Ponti. Possiamo seguirlo durante tutto il suo percorso di vita e di professione, dai primi incarichi per l’azienda Richard Ginori alle successive collaborazioni, sempre con nomi di altissimo livello, fino alla progettazione di interni. Qui l’architetto esprime la sua visione di casa, che deve essere “all’italiana”, cioè accogliente, luminosa, versatile, con tanti spazi da ampliare e ridurre secondo le esigenze. Davanti ai grandi nomi dell’architettura salta sempre all’occhio come il famoso detto di Mies van del Roe “Less is more” abbia un valore totale: progetti di Gio Ponti per l’arredo sono composti esattamente da una struttura più pulita possibile, le parti di cui sono fatti, pur svolgendo perfettamente il loro compito, non hanno bisogno di niente di più. I suoi mobili, le sue lampade, le sue decorazioni sono sempre festose, colorate e in grado di svolgere pienamente la loro funzione, ma senza il minimo orpello.

In un filmato d’epoca Gio Ponti, uomo simpaticissimo, illustra i suoi progetti per Milano, dal grattacielo Pirelli alle case dai nomi femminili nella zona da lui scelta per abitare, e spiega: Altre città hanno la loro bellezza, alcune hanno i fiumi, come Torino, Firenze e Roma, altre hanno il mare, come Genova e Napoli. Milano non ha nulla, ha gli architetti che devono preoccuparsi di renderla bella.

Lasciamo rue de Rivoli, attraversiamo i giardini delle Tuileries per raggiungere il jeu de Paume. Ci attendono tre mostre fotografiche.

Alejandro Cesarco fa notare come il linguaggio della musica sia universale e compreso quindi da tutti nel mondo allo stesso modo. Lo fa tramite il filmato di un’anziana pianista che suona il suo strumento.

Ana Mendieta, cubana ma espatriata da bambina negli Stati Uniti, è presente con opere degli anni ’70. Dimostrando una grande capacità di anticipo sui tempi che stavano maturando, l’artista si inventa una serie di performance di body art nelle quali espone se stessa tracciando su elementi naturali il profilo del suo corpo. Che sia una spiaggia di sabbia sulla quale il mare passerà incessantemente, o una traccia fatta di foglie secche poi bruciate, è il profilo del corpo dell’artista che viene riprodotto sui materiali naturali. Da queste performance sono nate le rispettive riprese video, brevi film che illustrano il pensiero dell’artista e che, negli anni ’70, rappresentavano una grande novità

Dorothea Lange è stata una fotografa americana molto stimata per il suo impegno a osservare e dare protagonismo ai tanti americani coinvolti e sconvolti dalla crisi del 1929, e alle terribili condizioni di vita a cui si sono dovuti assogettare. Una crisi economica potente e alcuni anni di siccità hanno sfinito migliaia di famiglie che, dagli stati interni degli Usa, si sono mossi verso la California, la terra promessa fertile e rigogliosa. Naturalmente non era così semplice, e intere famiglie si sono trovate ad affrontare una miseria estrema e a sottostare a condizioni di lavoro al limite della schiavitù.

Tutto questo è stato ampiamente riportato dalla Lange, incaricata di svolgere i suoi reportage anche dallo stesso governo degli Stati Uniti, oltre che da prestigiose riviste.

Suo è anche il toccante reportage dedicato alla deportazione di tutti i civili giapponesi presenti negli Stati Uniti al tempo della battaglia di Pearl Harbour: costretti a lasciare le proprie case, sono sati portati in un campo apposta dove, benchè non ci fossero le condizioni disumane dei campi in Europa, hanno lavorato, studiato, vissuto secondo gli ordini del governo Usa.

Molte sono le foto già note di Dorothea Lange. Tra tutte colpisce quella della Madre Migrante, una donna di 32 anni, sola con quattro figli, che ai tempi della grande depressione cerca di sopravvivere come può, in oindizioni di povertà e di abbandono estremi. Lo sguardo di questa donna, e dei figli più grandi, si spinge lontano, ma sembra non vedere nulla.

La giornata si conclude con un canonico shopping da Fauchon, soprattutto per il té e il fois gras, e una bella passeggiata fino a casa.

28 ottobre

Stamattina ci tocca la solita spesa al mercato di boulevard Richard Lenoir, dove troviamo il solito macellaio che ci fornisce due enormi bistecche, e un banco di frutta e verdura ben fornito.

La giornata è particolarmente grigia, fredda e ventosa, e non invita purtroppo a lunghe passeggiate. Ci rifugiamo così al Centro Culturale Svedese, che ha sede nell’Hotel de Marle, un hotel particulier costruito nel 1500 dove ancora si possono ammirare i soffitti dipinti dell’epoca. Qui è in corso una mostra dedicata al regista svedese Ingmar Bergman, che quest’anno compirebbe 100 anni. La mostra in sè è di relativo interesse, si limita a presentare una biografia del regista, frammenti delle sue opere, interpretazioni del suo stile anche nella moda. Trovo però molto piacevole entrare in questi ambienti che, almeno nel primo spazio di accoglienza, ripropongono lo stile nordico con profumate pareti rivestite in legno e mobili dall’inconfondibile linea svedese.

Rientriamo a casa e ci prepariamo ad accogliere Chiara, Sylvain e Monica (con le sue deliziose bimbe) per un aperitivo con molte chiacchiere, qualche stuzzichino e tre bottiglie di vino.

 29 ottobre

Nonostante le temperature abbastanza basse, decidiamo di rinnovare uno dei riti che ci piace ripetere a Parigi: la salita sulla Tour a piedi fino al secondo piano.

Andiamo in metropolitana, e all’arrivo ci attende una coda abbastanza lunga: dopo la tragedia del Bataclan, i controlli per la sicurezza in Francia sono molto severi. Si capisce che è in costruzione una sorta di hangar che, una volta organizzato, servirà proprio a sveltire queste operazioni. Per adesso ci dobbiamo accontentare e stare pazientemente in fila. Una volta passati i controlli, ci tocca fare la seconda fila per comperare i biglietti per la salita sulla Tour, passaggio più pesante perchè qui spira un vento gelido. Ma ce la facciamo e, dopo aver pazientemente atteso il nostro turno, cominciamo l’arrampicata. Sono circa 700 gradini che ci conducono a un punto di vista sulla città semplicemente eccezionale, incantevole sempre come fosse la prima volta.

Dopo questa prova di forza, ci avviamo verso il Palais de Tokyo per la mostra On Air di Tomas Saraceno. L’artista gioca, con serietà, sulle connessioni odierne e prende, come efficace esempio, la tela del ragno, il web.

Questa idea diventa uno stimolo per pensare più estesamente ai collegamenti tra esseri viventi, in un mondo in cui dovremmo essere più affratellati e, con la forza dell’unione, capaci poi di sostenerci con forza, e sostenere l’ambiente

La mostra si apre con una galleria di teche trasparenti dove le tele dei ragni (e spesso anche i ragni stessi, ospiti già presenti al Palais de Tokyo e selezionati dall’autore con l’aiuto di una entomologa) sono illuminate e presentate in modo tale da suggerire visioni oniriche e irreali. La semplice vibrazione di cinque fili di seta, abilmente posti in comunicazione con vari sensori presenti e adatti a rilevare calore e raffreddamento che si generano da soli nella stanza, produce una musica dolcissima ipnotica, che si ascolterebbe all’infinito per il benefico effetto che fa sui nostri nervi indifesi.

Altre sale ripetono gli esempi legati alla leggerezza dell’aria e all’intelligenza della natura, come i preziosi intrecci fatti dall’artista usando il filo di seta tessuto dal ragno, e i palloncini sospesi in balia dei movimenti che induciamo noi, con gli spostamenti d’aria. L’artista ci presenta anche un simpatico ragno capace di restare a lungo sott’acqua grazie alla capacità di costruirsi una bolla piena di ossigeno che si porta dietro nelle sue ispezioni subacquee.

La mostra si chiude con un profondo messaggio di Tomas Saraceno, il quale ci invita a usare l’aria come elemento non inquinante e in grado di fornire uno spazio vitale. Diventando Aerocene, l’uomo abbandona i combustibili fossili per usare solo la forza dell’aria e del sole. Già oggi può volare per qualche ora in modo autonomo, come dimostrato da precisi esperimenti, suggerendo così anche il limite dei confini tradizionali.

La distruzione dell’ambiente in cui viviamo, cominciato nel 1945 con lo scoppio della prima bomba atomica e continuato con gli interventi nel suolo nel mare e nell’aria, non può più essere tollerato.

Il ragno ci ha mostrato come si possa vivere adattandosi perfettamente e in modo pulito.

Lasciamo il Palais de Tokyo e camminiamo fin quasi a casa: in rue des Rosiers ci fermiamo per gustare un autentico falafel, accompagnato da patatine fritte e panaché. La cena sarà frugalissima.

30 ottobre

La giornata inizia sotto la pioggia, ma per fortuna verso le 11 si attenua un po’. Ci dirigiamo verso il Pantheon, per visitare la mostra dedicata a Georges Clemenceau.

Si parla spesso della grandeur francese. Il Pantheon ne è una esemplare esemplificazione. Enorme. Se da fuori si ha già l’impressione si entrare in un edificio molto grande, dentro questo spazio sembra dilatarsi, forse per il confronto con la straordinaria altezza, e diventa smisurato. Lungo il perimetro da percorrere, altissime le illustrazioni che ornano le pareti, enormi e perfette le cupole che sovrastano, due più piccole e una più grandi. In verità nel Pantheon, di sostanziale, non c’è molto: qualche tomba, questi affreschi alle pareti di relativo valore. Però, in mezzo, agganciato con una catena lunga circa 50 metri alla cupola più alta, c’è il pendolo di Faucault. Questo non è il pendolo originale, è una riedizione degli anni ’90 del secolo scorso, ma non importa. Quello che conta è la dimostrazione che il pendolo, oscillante, nel corso delle ore man ano si sposta, o meglio, non si sposta affatto perchè è la terra, con la sua rotazione a spostarsi sotto di lui. Affascinante!

E altrettanto affascinante e interessante è la mostra dedicata a Georges Clemenceaus: medico per cultura, uomo politico per passione, ha ricoperto vari ruoli senza mai esitare a prendere posizioni anche forti e decise verso situazioni che l’opinione pubblica giudicava al contrario del suo punto di vista. La mostra si rivela molto interessante sia per la porzione di storia della Francia che viene raccontata, sia per i dettagli domestici e intimi relativi a questo uomo, capace di potenti invettive, ma anche di delicate parole d’amore.

Dopo la visita facciamo uno spuntino con una crèpe salate, quindi ci prepariamo per incontrare Sylvia, Giacomo e i loro stupendi bambini Ylan e Shean. Ci troviamo all’Indiana in piazza Denfert Rochererau, un bel locale pieno di vita. La prossima volta da noi!

31 ottobre

Finisce il mese di ottobre e finisce anche questa volta il nostro tempo a Parigi. Come sempre, al momento di salutarla mi piace perdermi per le sue strade e immergermi nella sua atmosfera, nei bei palazzi d’epoca, sull’attraente Lungosenna.

E proprio costeggiando la Senna, al Quai Conti, incontriamo l’Académie des Beaux-Arts che ospita l’interessante mostra fotografica di Claudine Doury. La fotografa ha un giorno realizzato di conoscere bene le popolazioni indigene dell’ovest degli Stati Uniti, ma non di non sapere nulla di quelle che vivono nell’Estremo Oriente. Ha così scelto di esplorare il corso del fiume Amour e di immortalare persone, situazioni, oggetti del quotidiano. Le immagini riportate sono di rara leggerezza, molto poetiche, semplicissime nei soggetti, ma capaci di far immaginare tutto un mondo, tutta una vita che ruotano intorno all’immagine fissata.

Lasciamo il quai Conti e continuiamo a piedi fino a Les Invalides, ovvero quasi alla Tour, per visitare una piccola ma preziosa mostra dove le inconfondibili sculture di Alberto Giacometti si confrontano con quelle di un giovane artista portoghese, Rui Chafes. La mostra è allestita all’interno della fondazione Calouste Gulbenkian, che ospita il centro Culturale Portoghese. E’ quindi anche l’opportunità di visitare questo edificio, che ha un cortile tranquillo e un bell’affaccio sul Boulevard de la Tour Maubourg.

Con buon passo ci posizioniamo verso il ritorno, passando il quartiere universitario, poi il dedalo di stradine affollatissime del Quartiere Latino fino a St.Michel, quindi scavalchiamo l’Ile de la Cité, entriamo nel Marais, e ci fermiamo semplicemente a fare le ultime spese.

Il rientro a casa anticipato è d’obbligo, per preparare le valigie e sistemare le ultime incombenze casalinghe.

La cena e dall’Hyppopotamus, buona la tartare

Il portone della casa dove morì Jim Morrison
Happy Hour a Parigi

APRILE 2019

5 aprile 2019

Dal treno, al confine tra Italia e Francia

Siamo a Parigi per la 22° volta

La primavera sta arrivando, gli alberi sono in parte fioriti, altri stanno mettendo le prime foglie, ma l’aria è ancora fresca e, nonostante le vetrine con leggeri abiti colorati, i parigini vanno in giro ben coperti.

Di fronte alle nostre finestre

Siamo arrivati ieri sera verso le otto, con la luce ancora piena. Mille chilometri più a nord di Milano fanno la differenza.

Stamattina abbiamo fatto subito una visita dal nostro ostricaro preferito, che arriva solo tre giorni la settimana, venerdì, sabato e doenica, e staziona in rue St. Antoine. Aveva ostriche della Bretagna, gamberi del Brasile, branzino dell’Atlantico: abbiamo preso tutto.

Poi, la voglia di camminare per Parigi è il primo desiderio: ripercorrere le strade note per accorgersi dei cambiamenti, delle differenze. Purtroppo i cambiamenti ci sono, e in peggio: qualche negozio chiuso, altri che fanno offerte e liquidazioni fuori stagione. La crisi morde. Arriviamo al Louvre, convinti di vedere un’installazione in occasione dei 30 anni della piramide. Forse è durata solo un giorno, non c’è più nulla. Percorriamo les Jardins des Tuileries, dove sono stati i giardinieri che hanno inventate fioriture disposte a richiamare il perimetro del museo più famoso del mondo. Viole del pensiero, primule, tulipani colorati, a formare disegni precisi.

La nostra meta è il Jeu de Paume, ormai tradizionalmente dedicato alla fotografia.

Julie Béna usa il vetro per proporre “riflessioni ” dedicate al valore della trasparenza. Quanto proposto è molto limitato, ma rende l’idea.

Florence Lazar: i suoi lavori sono pugni nello stomaco. Senza un figlo conduttore preciso, la fotografa e cineasta intervista persone che si raccontano in un momento ormai tranquillo e risolto, ma che vengono da un passato tragico. La guerra in Jugoslavia, i conflitti del XX secolo, la colonizzazione francese in Martinica e i problemi legati all’inquinamento, i contrasti per motivi religiosi, fino al grande tema della sopraffazione in Africa: tutti esempi che, se oggi possono essere raccontati, hanno visto lotte dure, vite rovinate, lutti.

Immagine dal sito del Jeu de Paume: Les femmes en noir, 2002

Infinr, Luigi Ghirri, fotografo emiliano, un genio fuori da ogni schema. Le sue foto sono essenziali, pulite, immobili, ma perfette. Non c’è un dettaglio, pur minimo, di troppo, nè manca nulla. Ogni foto è una storia, e si spazia tra una pungente, qualche volta feroce ironia, a momenti di grande tensione poetica. Luigi Ghirri se n’è andato molto giovane, ma nella sua breve vita deve essere stato molto felice.

Luigi Ghirri, Enigma – Immagine dall’archivio Luigi Ghirri

Lasciamo il Jeu de Paume e facciamo il primo shopping tradizionale parigino: té da Fauchon.

Uovo di Pasqua di Fauchon

Rientrando verso casa, la Bibliothèque Forney, bellissimo edificio del XVII secolo, ci attira con la mostra di una straordinaria (e per me sconosciuta) illustratrice: Jacqueline Duheme. Amica di Paul Elouard, Matisse, Jacques Prévert e Picasso, questa signora tutt’ora vivente fin da bambina ha dimostrato una fantasia sviluppatissima nel tradurre in immagini storie, cronache, momenti della vita di persone note. Una mostra allegra, inaspettata, colorata, impreziosita da alcuni tessuti Aubusson realizzati sui disegni dell’autrice. Come tutte le mostre di Parigi, anche questa è ampia, esaustiva, ben spiegata.

Rientriamo a casa per una cenetta davvero notevole: spaghetti con gamberi, ostriche, branzino ai ferri, meringa alla crema “Aux Merveilleux”, tutto innaffiato dallo Chablis.

6 aprile

Al museo del Luxembourg c’è la mostra dedicata ai Nabis, i profeti. Una mostra piccola, forse per la produzione limitata, forse perchè molte opere sono oggi introvabili, ma interessantissima. Si rivela il desiderio di fare pittura in modo nuovo, un modo onirico, ispirato alle decorazioni giapponesi, e sopratutto un modo che esce dalla solitudine dell’arte pura per incontrarsi con l’artigianato.

I giardini del Luxembourg sono subito fuori, ed è piacevole fare il nostro spuntino seduti al sole su una delle numerosissine sedie a disposizione del pubblico. Intorno, rumore di chiacchiere, tanto verde e tanti fiori.

Torniamo verso casa, è quasi ora di aspettare l’arrivo dei nostri ospiti: Valeria, Luca e Lara. Dopo due chicchiere davanti a una tazza di té, andiamo a cena dal Petit Bofinger con Chiara, Sylvain e Martin. Serata perfetta per compagnia e cibo.

7 aprile

E’ domenica, come da tradizione alla mattina facciamo la spesa al mercato di Blv Richard Lenoir: frutta, pomodori, pane, quiche, ostriche, gamberi, orate

Dopo pranzo andiamo tutti alla Tour, dove lasciamo i nostri ospiti, mentre noi torniamo a piedi passando per il Lungosenna. Dal Quai Branly fino al Villaggio St. Paul passeggiamo con i parigini sul percorso libero dalle automobili, insieme a quelli che vanno a piedi, in bicicletta o in monopattino.

Alla sera, ottima cena a casa, e chiacchiere piacevoli in compagnia.

8 aprile

Andiamo a Notre Dame, e non c’è la solita coda lunghissima, così riusciamo a entrare e a visitarne l’interno. Una visita veloce, purtroppo, le cappelle meriterebbero più attenzione.

Nota a posteriori: esattamente una settimana dopo, l’incendio a Notre Dame

La tappa successiva è la libreria Shakespeare, immancabile punto di attrazione per la sua immutabile atmosfera e per l’offerta amplissima di libri in lingua originale (inglese). Ne compero due di seconda mano, penso siano abbastanza intriganti da farmi superare l’ostacolo di leggere in una lingua che non è la mia.

La tappa del pranzo è all’As du falafel, che non delude mai: falafel e hummus con pita e panashè.

Rientriamo a casa perchè Valeria & c. devono rientrare a Milano. Li accompagniamo fino a Chatelet, dove ci dividiamo: loro proseguono verso l’aeroporto, noi andiamo in rue d’Alesia alla ricerca dell’outlet Cacharel, che non c’è! Torniamo a casa e, sulla via, mi consolo con un economico shopping da Uniqlo.

9 aprile

Parigi tutta a piedi, oggi, nel 6° Arrondissement. Alla mattina visitiamo l’Istituto italiano di Cultura, in rue de Varenne, per la mostra “Caro Levi, un peintre-ecrivain entre Parid et Matera”. Non solo dipinti, ma molte foto e scritti del pittore antifascista vissuto a lungo al confine in Basilicata.

Ritratto di Leone Ginzburg

Nel pomeriggio raggiungiamo l’Institut des Beaux-Arts de Paris per la mostra di disegni “Leonardo da Vinci et la Renaissance Italienne”: Ci sono solo quattro disegni di Leonardo, ma la mostra è comunque interessantissima per i lavori degli artisti proposti, tutti di altissimo valore (Raffaello, Verrocchio, Andrea del Sarto) e per l’argomento abbastanza insolito.

Nel frattempo facciamo shopping: cioccolato di Pasqua, da Jacques Genin “fondeur de chocolat”, un vero artista, e abbigliamento di gran classe per me da Ines de la Fressange.

La spesa alimentare serale è già impostata per il ritorno, dopodomani. E poi bisogna finire gli avanzi.

10 aprile

Andiamo alla Villette, alla Cité des Sciences et de l’Industrie, perchè c’è la mostra dedicata al Microbiota che mi interessa moltissimo. Infatti è molto interessante, ma è anche divertente e interattiva, così come tutte le mostre allestite al’interno e visitabili. Morale, restiamo fin quasi alle 17, cercando di vedere più possibile, e soprattutto di imparare più possibile su cervello, genetica, matematica, universo, acqua e altre cose ancora. Per il ritorno, scegliamo di tornare a piedi costeggiando l’acqua: dal Canal de l’Ourcq, dal Bassin de la Villette e poi il Canal St. Martin, approfittiamo di un percorso almeno nella prima parte molto tranquillo, poi un po’ più trafficato, ma sempre con il piacere dell’acqua del canale che corre a fianco, intervallata dalle chiuse e dai ponti in ferro del XIX secolo.

Alla fine ci mancano solo poche cose per la cena, torniamo a casa a preparare le valigie.

Belle cose di Parigi: il quartiere LGBT

Belle cose di Parigi: il movimento femminista sovrappone intitolazioni femminili a quelle tradizionali, quindi in maggioranza maschili

STORIA DEL MARAIS   Histoire(s) du Marais

La Place Royale, o semplicemente “la Place” è stata inaugurata nell’aprile del 1612, in occasione delle doppie nozze tra Luigi XIII e l’Infanta di Spagna e Madame Elisabeth e l’Infante.

La piazza era stata concepita e voluta da Henry IV che, nel 1605, decise di far abbattere il Palais des Tournelles e far costruire questa bellissima piazza di cui “non c’è alcun luogo in tutta la cristianità che possa reggere il confronto”. L’idea del re era di installarvi una manifattura di tessuti in seta, per la quale aveva chiamato anche esperte maestranze italiane. Nella piazza, quindi, vengono edificati dodici palazzi capaci di ospitare gli operai e le loro famiglie, mentre una galleria coperta dovrebbe servire ad attirare la clientela.

Nel 1607 il progetto viene modificato: Henry IV vuole donare alla città una piazza nuova, con dimensioni mai viste in Europa. Più che obiettivi economici, il re aveva obiettivi politici.  Il primo re Borbone ha faticato non poco per avere la corona francese, e spera che questo grandioso progetto ne rinforzi la popolarità tra i parigini.

Al posto degli alloggi per gli operai italiani, quindi si costruiscono i palazzi ancora presenti oggi.  Si alzano 36 costruzioni, tutte edificate secondo un unico modello, a eccezione di due: sono il “Pavillion” del Re e il “pavillion” della Regina, uno di fronte all’altro. Tutto questo dona alla piazza l’aspetto rigoroso e ordinato che conosciamo tutt’ora. I palazzi soo costruiti in mattoni e pietra, i tetti sono ricoperti in ardesia. I passaggi coperti sono dedicati a negozi e altri commerci. In un’epoca in cui il marciapiede non esiste, e le strade pavimentate sono rare, le gallerie della Place, riparate dall’acqua e dal fango, diventano subito popolari. La piazza diventa il posto più elegante di Parigi.

Henry IV, purtroppo, non vede il suo progetto finito: viene assassinato nel 1610. Sarà quindi il suo successore, re Luigi XIII e marito dell’Infanta di Spagna, a presiedere all’inaugurazione. Una folla enorme è presente, fatta non solo di nobili, ecclesiastici e ambasciatori stranieri, ma anche di persone del popolo. I cannoni della Bastiglia tuonano per festeggiare l’avvenimento. Negli anni successivi, la piazza viene usata per accogliere personaggi importanti come Cristina di Svezia, nel 1656, e Maria Teresa d’Austria nel 1660.

Il XVII secolo è quindi il secolo d’oro per la piazza. In quello successivo l’atmosfera cambia, l’aristocrazia si sposta verso il faubourg Saint-Honoré, la Rive Gauche, Saint-Germain-des-Prés. E poi c’è la Rivoluzione francese, i nobili fuggono e la piazzadiventa campo di manovra per la Guardia nazionale. Anche il nome cambia, non più Place Royale, ma Place de l’Indivisibilité de la République.

Il nome attuale arriva nel 1800, con Napoleone il quale, Primo Console, annuncia che darà alla piazza il nome del primo dipartimento francese che pagherà le tasse allo stato. Ovviamente sono i Vosgi, ed ecco la Place des Vosges.

Passato il periodo napoleonico, le cose cambiano ancora. La Parigi che conta vive nei gradi boulevards e la piazza, come tutto il Marais, viene dimenticata e abbandonata. Bisogna attendere il 1960 perchè le cose cambino ancora e tutta l’area riprenda vigore e l’importanza di una volta.

La rue des Francs-Bourgeois deve il suo nome al fatto che, nel XIV secolo, vi sorgevano congregazioni religiose e e abitazioni messe a disposixione da anime caritatevoli, destinate ai cittadini più poveri del borgo. Erano così poveri da essere affrancati dal pagamento delle imposte. I parigini stessi, allora, li definirono “francs-bourgeois”, ovvero abitanti del borgo non soggetti a imposte. Una di queste case porta ancora il nome: la “Maison des francs-bourgeois” è un ospedale per i meno abbienti.

OTTOBRE 2019

3 ottobre

23 volte a Parigi, ma non li dimostra

L’arrivo ormai è standard: apertura casa e valigie, spesa, cena leggera

4 ottobre

Prima di tutto la spesa, e siccome in Rue St. Antoine c’è il nostro ostricaro di fiducia, comperiamo moules de Bouchot e gamberi grigi per la cena.

Portiamo tutto a casa e ripartiamo per il Beaubourg, dove c’è un’unica mostra dedicata a Francis Bacon: Bacon en toutes lettres.

Non è un autore dei più facili: la bellezza cromatica dei suoi dipinti si confonde con le forme indefinite dei corpi, i rimandi alla carne che invecchia e muore, le linee sempre al limite della comprensione razionale. Ma i suoi dipinti hanno un innegabile fascino attrattivo, e bisogna a un certo punto ammettere che la realtà, come Bacon la vede, non è così distante da quella che vediamo noi, sebbene riconosciamo forme completamente diverse. Del resto l’autore confessa di ispirarsi alla letteratura, e a un numero definito di autori noti (Eschilo, Conrad, Thomas Eliot, Bataille) per trovare la creatività con cui sviluppare i suoi lavori.

La visita, come sempre, è molto ampia e porta via alcune ore, ma è l’unica allestita in questo momento nel museo, dove sono in corso profondi lavori di ristrutturazione.

Non è nè presto nè tardi: continuiamo sulla Rive Droite fino al negozio di Fauchon, per la consueta scorta. Delusione! L’impostazione del negozio è molto cambiata, il personale scarseggia, così come scarseggiano i nostri prodotti preferiti. Ci accontentiamo di due qualità di té, ma finiamo la spesa vicino a casa, da Marriage Frères , dove l’atmosfera di vecchia casa da té è invariata e forse invariabile.

Sono quasi le 18, rientriamo a casa, e il tempo ci vuole tutto per preparare il sugo di muscoli e i gamberi, ma ne vale la pena: cena eccezionale.

Stasera arrivano Davide e Alessandra

5 ottobre

La mattina è leggermente piovosa. Dopo un po’ di spesa, visitiamo il Museo Arts et Métiers.

All’interno di una bella costruzione d’epoca e adiacente alla chiesa di Saint-Martin-des-Champs, il museo presenta una ricchissima collezione di oggetti e modelli che propongono la storia della scienza dagli albori a oggi. Materiali, energia, meccanica, costruzioni, trasporti e comunicazione, per ognuno di questi soggetti, declinati nei dettagli, è possibile vedere esempi, spiegazioni e rappresentazioni filmate o ricreate, dettagli di come le numerose invenzioni nate dalla creatività artigianale, siano diventate nel tempo le comodità in cui viviamo oggi.

Macchine volanti preludono agli aerei, mentre ingombranti veicoli e carrozze erano già dotate di un motore in grado di farle muovere autonomamente.

Un gigantesco calcolatore è il papà dei nostri piccolissimi cellulari e computer.

Gli affascinanti telai di legno a scheda perforata erano già capaci di creare, sui tessuti, motivi e disegni bellissimi.

Meno intuitiva, per me, ma altrettanto affascinante è tutta la storia dell’energia, dai primi impulsi elettrici alla pila, fino a quello che oggi muove quasi qualunque cosa, per finire con un modello che racconta come funziona l’energia nucleare e, finalmente, quella solare.

A Lavoiser, padre della chimica, è dedicata una stanza, dove è stato ricostruito un modello del suo laboratorio.

Infine, tutte le applicazioni dell’elettronica e della trasmissione senza fili, da applicare alle immagini (microscopio), alla televisione, al nostro quotidiano.

Non mancano esempi dove la creatività scientifica si sposa con quella artistica, per diventare preziosa ceramica o i meravigliosi vasi in vetro di Gallé.

E’ magnifico prendere coscienza di come la realtà sia molto più versatile, molto meno rigida di come appare a prima vista, noi per primi forse.

Nella parte finale si affaccia l’ecologia, in particolare una sezione dedicata agli imballaggi: la loro importanza, il cambiamento che hanno generato, e la necessità di rivederli, più che ridurli, oggi.

Ma alla fine, il momento più entusiasmante è stato quello dedicato alla dimostrazione della rotazione terrestre, grazie al Pendolo di Faucoult.

Una sfera di cinque chilogrammi pende da un lunghissimo filo agganciato alla cupola dell’abside della chiesa. Il pendolo oscilla su un piano dove, in precisa posizione, sono stati posizionati dei cilindretti di piombo. Man mano che le oscillazioni proseguono, il pendolo colpisce e fa cadere, gradatamente, tutti i cilindretti. Il peso dondola sempre secondo lo stesso asse, ma il piano sotto lentamente si sposta, e i cilindri entrano in collisione.

Il pubblico di bambini è totalmente affascinato, ma lo sono anch’io!

Lasciamo il museo per incontrate Silvia e Giordano. Li raggiungiamo in rue du Roi de Sicilie, davanti alla libreria italiana. Ci avviamo per una passeggiata lungo rue de Rivoli. E’ sabato pomeriggio, i marciapiedi sono affollatissimi, e così il traffico. Ci rifugiamo sulla terrazza dei Magazines Samaritaine, da poco riaperti e restaurati, per un caffè di gran lusso.

Li lasciamo per tornare a casa e prepararci: stasera cena a La Coupole, a festeggiare un compleanno! Cena squisita, vino ottimo, ambiente frizzante, accogliente e molto parigino, e rientro con calma a piedi costeggiando i Jardins du Luxembourg e il quartiere latino.

C’è la notte bianca, la città è in festa, con noi.

6 ottobre

La domenica parigina comincia sempre con la spesa dall’ostricaro di fiducia, dal boulanger preferito e con un giro al mercato di Blv Richard Lenoir. E siccome di domenica si ha poca voglia di organizzare, è anche bello gironzolare per il quartiere, fare un po’ di shopping e scoprire (non lo avevamo mai visto!) dove è successo il fattaccio di Charlie Hebdo.

Al pomeriggio non si fa molto, perchè aspettiamo a cena Silvia e Giuliano, e bisogna preparare. La serata passa poi con davvero molta allegria, buon cibo, buon vino e champagne.

7 ottobre

Stamattina ci sta una capatina alla Libreria Shakespeare, un posto sempre gradevole da visitare perchè non è mai uguale. Riesco anche a comperare un libro da regalare: To kill a mockingbird, una lettura indispensabile.

Nel pomeriggio andiamo a Montmartre, un po’ per incontrare Silvia e Giuliano ai quali dobbiamo lasciare un piccolo regalo, un po’ per fare un giro di shopping al Surplus di APC, e molto per rivedere la collina, non tanto la parte turistica concentrata su Place du Tertre, quanto il versante posteriore, con il museo Montmartre, la Maison Rose, e la vigna pronta per la vendemmia, rossa o oro.

Torniamo a piedi con una bellissima passeggiata, dove ci fermiamo solo per una breve visita alla chiesa di St. Laurent, antichissima per fondazione e ovviamente molto rivisitata, ma con alcuni elementi di pregio: qualche vetrata colorata, le chiavi di volta pendenti, un magnifico pulpito in legno istoriato.

St. Laurent, notevoli le chiavi di volta pendenti

Serata tranquilla e anche un po’ dietetica.

8 ottobre

Piove, e pioverà tutto il giorno, le previsioni difficilmente sbagliano. Ma non piove così forte da costringerci da fermarci in casa. Andiamo a visitare le Serres d’Auteuil, uno spazio dedicato alla coltura di piante provenienti da tutto il mondo.

Il viaggio è abbastanza lungo, le serre sono dall’altra parte di Parigi rispetto a casa nostra, ma ne vale pienamente la pena, anche con il tempo grigio.

Entriamo in un parco magnifico, percorso da viali dove svettano alberi secolari, e dove i prati si alternano a cespugli fioriti, arbusti verdi e rigogliosi, spazi aperti ben organizzati. Tra i viali, le serre in struttura di ferro e vetro, ancora con le loro linee ottocentesche, quasi tutte visitabili per godere della bellezza e della ricchezza delle piante esposte, raccolte secondo la specie, la zona di provenienza, le affinità.

Un altro corridoio è percorso da serre moderne, dotate di strumentazione tecnologica per controllare acqua, temperatura e umidità, dove sono raccolte le piante più rare provenienti dalle aree più calde del mondo.

Un bel gruppo di giardinieri svolge il suo lavoro, ed è gentilmente a disposizione per ogni quesito, mentre qua e là tavolini attrezzati, anche al coperto, permettono un minuto di riposo.

La sensazione di vivere immersi nella natura, lontani dai rumori e dal caos del traffico, peraltro non lontano, è particolarmente piacevole e invita a non affrettarsi.

La storia di queste serre supera i cento anni e, sebbene per un periodo un po’ trascurate, oggi sono di nuovo pienamente valorizzate e si occupano di far crescere tutte le piante che vengono usate per abbellire i parchi di Parigi.

Un po’ a malincuore ci allontaniamo, passando però dalla Square du Poets, un parco adiacente di grande bellezza e pulizia, dove i percorso sono intervallati da testi poetici incisi sui sassi.

E’ ora di tornare verso casa. Visto che ci aspetta una cena molto parca, facciamo merenda con hot dog e bagel, e un lungo, ampio giro per il Marais che dopodomani dovremo salutare

9 ottobre

La Tour Eiffel

Potevamo lasciare Parigi sena salutare la Dame de Fer? Ovviamente no, e abbiamo rispettato il nostro rito di salire a piedi fino a secondo piano, questa volta tra l’altro facendo meno coda del solito. Dalla tour siamo tornati a casa a piedi, percorrendo tutti gli Champs Elysées nella vana ricerca dell’installazione di Jeff Koons, che non abbiamo trovato!

Jeff Koons, Bouquet of Tulips

Ci concediamo una buona birra alla Cave St. Gilles, dove l’accompagnano con deliziose olive, e dove, mentre sorseggiamo, si scatena una ramata d’acqua potentissima, e bella da vedere dalla nostra comoda postazione all’aperto, ma riparata. E ora le valigie …