(4 ottobre 2018)

Sono gli amici di sempre, quelli che “dai, facciamo qualcosa” e, senza sforzi, si organizza una giornata bella sotto tutti i punti di vista.

Il punto di contatto è un anonimo autogrill in autostrada, la prima vera tappa è l’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano. Le prime notizie di questo luogo di culto risalgono all’XI secolo, come Canonica dell’ordine regolare di S. Agostino. La chiesa era evidentemente molto attiva, come testimoniano la ricchezza di donazioni risalente a quegli anni, ma ebbe il suo massimo sviluppo tra il XII e il XIII secolo. Seguì un lento declino che si protrasse fino al 1800 quando, sotto Napoleone, fu ridotta a cappella campestre della parrocchia di Albugnano. Oggi è considerata un gioiello architettonico curato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Il complesso ecclesiale è immerso nella campagna, in mezzo a boschi di querce e pioppi. La facciata si presenta maestosa, con tre ordini di logge e sculture disposte in schema gerarchico.

Al centro, in un’ampia bifora, la statua del Cristo benedicente tra gli Arcangeli Raffaele e Michele.

Nell’ordine superiore, due serafini appoggiati a due ruote sono sovrastati dal busto di Dio Padre.

Bellissima è la lunetta che sovrasta il portale d’ingresso, l’Annunciazione: la Vergine è seduta in trono mentre lo Spirito Santo, in forma di colomba, le parla all’orecchio.

L’interno presenta la pianta basilicale, con pareti in arenaria e mattoni. Appena superato l’ingresso si viene catturati dalla vista del Pontile, realizzato in arenaria grigia del Monferrato dipinta, ed è costituito da una serie di cinque campate di archi a sesto acuto retti da colonnine in pietra con capitelli fogliati: un doppio registro di bassorilievi policromi raffigurano le scene della Dormitio, Ascesa al cielo ed Incoronazione della Vergine, e dalla serie degli antenati della Vergine assisi e recanti in mano un cartiglio con il proprio nome.

L’eccezionalità del valore artistico di questa opera – cui contribuisce anche la preziosità delle coloriture, con l’uso del costoso lapislazzuli proveniente dalle montagne del Caucaso (per il manto della Vergine e del Cristo) – induce a supporre un committente di grande autorevolezza (forse l’imperatore Federico Barbarossa). La verifica della originalità delle coloriture, mai ridipinte, che il restauro del 2003 ha messo in luce rimovendo lo strato di sporco che le appannavano, indica questa opera come un rarissimo esempio di scultura policroma medievale.

Superato il Pontile, ci si affaccia alla navata, dove l’attenzione è attratta dalle sculture che ornano l’altare. Sotto un pizzo di legno lavorato, una terracotta policroma raffigura la Vergine e il bambino con, ai lati, S. Agostino e Carlo VIII in ginocchio.

Il chiostro, lussureggiante di verde e di fiori, presenta alcuni affreschi ancora in fase di recupero: si riconoscono i tratti medioevali della devozione rivolta alla Madonna, a Cristo e ai Santi.

La visita prosegue con un intermezzo scientifico: in una piccola sala è possibile visionare come la chiesa di Vezzolano, e in generale tutte le chiese dell’epoca, fosse stata costruita secondo precise indicazioni astronomiche, che permettevano l’ingresso della luce all’alba in determinati periodi dell’anno.

Infine, dietro alla chiesa c’è un ricco frutteto di mele, tante varietà di mele, molte delle quali non più presenti sui nostri mercati. Con una piccola offerta è possibile averne un sacchetto per gustarle fresche e apprezzare le differenze.

Da Vezzolano raggiungiamo Piea, un piccolo paese della provincia di Asti dove si trova un magnifico castello, oggi residenza privata, visitabile su appuntamento.

Ci accoglie la padrona di casa, una bella signora molto cordiale che sembra perfettamente a suo agio nel vivere in una dimora storica costruita intorno all’anno Mille come fortezza, e trasformata in dimora gentilizia nel 1700.

Entriamo in un corridoio con i ritratti di alcuni dei proprietari precedenti del castello, e insieme visitiamo le stanze del pianterreno, arredate con mobili d’epoca ancora in funzione.

Un magnifico scalone realizzato su progetto di Filippo Iuvarra ci conduce al primo piano. Qui la bellezza è ovunque, dai magnifici soffitti affrescati nel 1762 dai pittori Bernardino Fabrizio e Giovanni Galliari, ai lampadari in vetro di Murano, con decori e intrecci esclusivi creati per il castello.

Da un balcone possiamo ammirare il giardino all’italiana, perfetto per cerimonie e matrimoni, ma tutto il parco intorno è ricco di alberi secolari e piante fiorite.

È ormai ora di pranzo: scegliamo la trattoria Tre Colli a Montechiaro d’Asti. Il locale ha una gestione totalmente femminile, e la sala da pranzo, all’aperto se pure al coperto, ha una splendida vista sulle colline del Monferrato. Purtroppo non assaggiamo il tartufo, specialità della casa, in quanto pare che la stagione non sia ancora giunta. Mangiamo comunque molto bene, specialità piemontesi preparate quasi esclusivamente con i prodotti locali.

Ci spostiamo ad Asti, il cuore del Monferrato, città elegante e tranquilla che ancora conserva profondamente il valore delle sue tradizioni. Arriviamo durante la manifestazione della Douja d’Oro, concorso enologico dedicato ai migliori vini del territorio: in città sono numerosi gli stand dove è possibile degustare i vini in concorso.

Visitiamo subito la Collegiata di San Secondo, nel cuore della città, intitolata al Santo Patrono. La chiesa si affaccia sull’ampia piazza, alla quale rivolge la facciata in stile romanico-gotico. L’interno è sobrio e austero, con il prezioso coro in legno, i cui stalli intagliati risalgono al XII secolo.

Ci avviamo lungo la via Vittorio Alfieri, snodo principale della città medievale, sulla quale si affacciano numerosi vicoli, in questo periodo rallegrati da decorazioni appese in omaggio alla buona cucina.

Sulla stessa via non mancano i palazzi prestigiosi ricchi di storia e oggi sede di istituzioni. Tra tutti la casa natale di Vittorio Alfieri, oggi sede del Museo Alfieriano.

Ci fermiamo alla Cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta, con una bella facciata semplice, nello stile romanico-gotico, ma impreziosita nelle pareti laterali da magnifici portali e finestre a ogiva incorniciate da lavorazioni preziose in cotto e arenaria, tali da rappresentare uno degli esempi più significativi del gotico lombardo.

Abbiamo la fortuna di trovare aperta la cripta e museo di S. Anastasio, “dove si trovano testimonianze archeologiche che risalgono dal I – II secolo d.C. fino all’inizio del ‘900. Sono visibili resti di pavimentazione del foro romano, tracce di abitazioni, tombe risalenti al VII – X secolo, il muro di fondazione della prima chiesa di Sant’Anastasio (VII secolo), resti della successiva chiesa romanica, e una parte del muro perimetrale della chiesa seicentesca barocca demolita nel 1907. Le testimonianze archeologiche, presenti nella parte ovest del museo vanno dal I-II secolo d.C. fino all’inizio del ‘900. La chiesa di Sant’Anastasio faceva parte dell’omonimo monastero femminile benedettino documentato già nel 1008, ma di probabile origine longobarda, che fu per secoli non solo centro di spiritualità, ma potenza economica e politica per suoi vasti possedimenti fondiari e per legami con l’aristocrazia astigiana, da cui provenivano di solito le sue badesse. Nel periodo napoleonico, fu privatizzato e acquistato dai conti Cotti Ceres, che lo donarono, nel 1835, al comune di Asti che lo utilizzò per attività didattiche fino alla demolizione del 1907. Molto suggestiva è la cripta della chiesa risalente al XI-XII sec, a pianta basilicale con tre navate con volte a crociera, in cui si possono ammirare colonne e capitelli di recupero di età romana e altomedievale. Nella parte est del museo sono conservati elementi lapidei appartenenti al sito di S. Anastasio, pietre cantonali e stemmi provenienti da casseforti e palazzi signorili della città ed altri reperti risalenti prevalentemente al periodo tra VIII e XVI secolo” (Wikivoyage.org).

San Pietro in Consavia

L’ultima tappa della nostra passeggiata, prima dei saluti, è dedicata al bel complesso di San Pietro in Consavia, ormai ai margini della città. Si compone di quattro edifici, dove la parte più antica è la Rotonda del Santo Sepolcro, copia del luogo santo dedicato a quei fedeli che non potevano permettersi un viaggio in Terrasanta. “L’edificio in mattoni e arenaria, esternamente ha un perimetro poligonale, mentre all’interno è a pianta circolare, con un vano centrale circoscritto da otto colonne, con capitelli cubici ad angoli smussati, collegate tra loro da archi a tutto sesto. Fu adibito a battistero solo alla fine del XIII sec: al centro della Rotonda vi è un fonte battesimale marmoreo di fattura cinquecentesca.

A questo primo edificio, si aggiunse tra XIII e XIV, una chiesa composta da tre corpi di fabbrica, disposti ad “U” a formare un chiostro interno, suddiviso in Ospedale dei Pellegrini e Casa Priorale. Nel XV sec vi fu un nuovo ampliamento con l’aggiunta di un edificio a pianta quadrata sul lato orientale, la cappella di San Pietro in Consavia, detta anche cappella Valperga dal nome del committente, con volta a crociera decorata da un complesso apparato di formelle figurate in cotto, il più ricco esempio di questa tecnica ornamentale conservato ad Asti” (Wikivoyage.org).

Ci salutiamo che è ancora chiaro, e con la soddisfazione di esserci riempiti gli occhi di cose belle, e il tempo di piacevole compagnia.