(27 ottobre 2017)

Qualcuno una volta disse, Con la cultura non si mangia. Poi vado a visitare una piccola città della pianura padana, nemmeno così famosa, e trovo talmente tanta bellezza che mi chiedo come mai tutti, al mondo, non vadano a Pavia.

Siamo in sei, sei amici affezionati e uniti dalla voglia di stare insieme e dalla curiosità di conoscere.

Ci incontriamo al Castello Visconteo di Pavia, immerso nel Parco della Vernavola. Siamo a fine ottobre, con un autunno insolitamente tiepido, e già i colori dorati e caldi delle foglie degli alberi costituiscono un motivo di ammirazione.

La prima tappa è la chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro, le cui origini sono datate nel VII secolo, mentre la versione attuale si colloca nel 1132. La facciata è in mattoni rossi, con un bellissimo portale in pietra lavorato e intagliato finemente; in alto, si distinguono alcune formelle in ceramica, formelle che si ritrovano spesso nelle chiese pavesi e che arrivano dall’Oriente. Pavia infatti, con il Ticino affluente del Po, era un nodo cruciale di traffici fluviali tra il nord Europa e il mar Adriatico, con i porti di Venezia e Ravenna.

L’interno della chiesa è essenziale e mistico, la luminosità misurata accentua queste sensazioni, e tutta l’attenzione si raccoglie verso l’arca che contiene le spoglie di S. Agostino: un imponente lavoro scultoreo, opera di maestri lombardi, ricco di figure allegoriche e reso ancora più intenso dalla perfetta illuminazione. Oltre a Sant’Agostino, dottore della Chiesa, la chiesa ospita i resti del filosofo Severino Boezio, romano, consigliere del re ostrogoto Teodorico che lo fece giustiziare con l’accusa di tradimento. A lui Dante dedica questi versi, nel X Canto del Paradiso: Lo corpo ond’ella fu cacciata giace / giuso in Ciel d’Auro, ed essa da martiro / e da essilio venne in questa pace.

Lasciamo San Pietro in Ciel d’Oro e la sua bella piazza piantumata e ci avviamo verso il centro di Pavia. Imbocchiamo Strada Nuova e ci piacerebbe visitare il Teatro Fraschini, purtroppo chiuso. La tappa successiva è la Chiesa di Santa Maria del Carmine, un grandioso edificio gotico con la facciata in mattoni e la scansione degli spazi, con pilastri e guglie, molto simile a quella del Duomo di Milano. Il rosone, le bifore e la bella formella in terracotta sopra il portale sono bellissimi. La chiesa è stata iniziata verso la fine del 1300, e terminata circa un secolo dopo. L’interno, forse per le dimensioni, è un po’ freddo, e mi colpisce solo una curiosa raccolta di ex voto, a fianco dell’entrata principale, dipinti magistralmente a trompe ’oeil. La chiesa si apre su una magnifica piazza, e di fronte si trova l’elegante Palazzo Orlandi.

Palazzo Orlandi

Ci dirigiamo verso il Duomo, che al momento è chiuso, ma ci fermiamo davanti alle rovine della Torre Civica medioevale. La Torre crollò improvvisamente il 17 marzo 1989, e in quel crollo quattro sfortunati passanti persero la vita. Una tragedia inaspettata, e bene fa la città a ricordare il fatto, le vittime, la Torre com’era e come è oggi.

Passiamo da piazza della Vittoria, e siamo contenti di ammirarla con la luce del sole, è molto bella e mantiene ancora tracce profonde del suo passato, che si intreccia con moderni locali affollati di giovani studenti. Dalla piazza, si può accedere al Mercato Ipogeo.

È ora di pranzo, e la scelta va all’Osteria alle Carceri, dove troviamo un menu lombardo, ma non solo, cibo e vino di qualità, prezzi misurati e personale (quasi tutto femminile) efficiente e cortese.

Scendiamo fino al Ponte Coperto sul Ticino: complice la giornata stupenda, i colori sono vivaci e brillanti, fiume e cielo sfavillano in blu, mentre le case di Borgo Ticino si distinguono per le diverse decise tonalità. Facciamo una piccola sosta al monumento della lavandaia, e poi rientriamo verso il centro, per raggiungere il Duomo.

Che è sorprendente! Un edificio maestoso, luminoso, a croce greca nonostante sia una chiesa cattolica, con profonde cappelle e begli affreschi. La chiesa, intitolata a Santa Maria Assunta e a Santo Stefano, è stata voluta dal cardinale Ascanio Sforza, fratello di Lodovico il Moro, che nel 1488 affidò il progetto a Giovanni Antonio Amadeo. Alcuni sostengono vi abbia lavorato anche il Bramante, e questo si evince per la maestosa semplicità delle linee architettoniche. La costruzione fu abbandonata incompiuta, e terminata nel XIX secolo, mantenendo il progetto iniziale. È una chiesa dove si respira.

Ci spostiamo per visitare la Basilica di San Michele Maggiore, il più famoso e importante monumento religioso longobardo della città, e forse il più suggestivo. A renderlo tale ha sicuramente contribuito la ricca spiegazione che ci è stata offerta dai volontari del Touring Club, davvero preziosi.

La chiesa, costruita verso la fine del 600, subì incendi e un terremoto, ma la versione che vediamo oggi risale al 1155. La facciata, molto caratteristica, è in fragile pietra arenaria, soggetta purtroppo al lavorio del tempo e degli elementi. Sono comunque tutt’ora evidenti le belle decorazioni in rilievo.

Dei tre eleganti portali, quello centrale è sormontato dalla figura di San Michele. L’interno, quasi spoglio come devono essere le chiese romaniche, è però davvero ampio. Nel periodo dal 1488 al 1491, per motivi di sicurezza il soffitto è stato rinforzato da volte a crociera, eseguite dai maestri artigiani di Candia Lomellina.

Sugli altari laterali all’altare maggiore, due opere in legno rendono ancora più unica questa chiesa: una Pala in legno policromo di Giacomo e Giovan Angelo del Maino del XV secolo e, dall’altra parte, un delizioso presepe sempre in legno colorato attribuito a Baldino da Surso, 1476.

Al centro, un segno rappresentato da cinque cerchi in marmo ricorda il punto in cui Federico Barbarossa si fece incornare re d’Italia: era il 1155 e lui aveva 32 anni.

Sul pavimento del presbiterio, rialzato sopra una cripta a oratorio, c’è il vero incanto della chiesa, un magnifico mosaico che comprende il labirinto e le figure dei dodici mesi dell’anno, intenti nell’attività agricola caratteristica del periodo. Il ritrovamento del mosaico, o meglio della parte visibile, è stato casuale, durante lavori di restauro eseguiti nel 1972, e risale alla prima metà del XII secolo. Altre parti sono visibili, a conferma della grandezza e del valore dell’opera.

L’ultima tappa della nostra visita è dedicata alla chiesa di San Teodoro, altro monumento romanico con facciata in mattoni. All’interno, sono molto interessanti gli affreschi che presentano la città com’era nel Medioevo, e i cicli di affreschi dedicati alla vita dei santi intestatari del tempio, San Teodoro e Sant’Agnese.

La giornata è volata! Ci accomiatiamo da Pavia con un ricco aperitivo gustato in piazza della Vittoria. La città merita ben più tempo e attenzione di quanta se ne possa avere in una sola giornata, e abbiamo anche trascurato la mostra dedicata ai Longobardi, che pare molto interessante. Torneremo.