4 novembre

Arriviamo a Venezia, puntualissimi, alle due del pomeriggio.  Sbagliamo il vaporetto che ci deve portare verso casa, in Campo Santa Ternita: ci mette un bel po’ di tempo, ma in compenso ci fa fare un bellissimo giro tra Canal Grande, Canale della Giudecca, San Marco, e ci fa scendere alla solita fermata Celestia, ma da un approccio diverso

Poi casa, la bella casa stra-collaudata di Campo Santa Ternita, spesa, e infine un bel bicchiere di vino squisito con Fabio e Nicoletta (senza Arianna …). L’incontro èin Campo S. Giacomo dell’Orto (?), ben lontano da casa nostra, ma facciamo così una bella e lunga passeggiata notturnatra le calli. Cena a casa, tranquilla e rilassante

5 novembre

E oggi incomincia la visita guidata alla Biennale delle arti visive, “Stranieri ovunque”

Arrivata alla 60° edizione, la Biennale di quest’anno è curata da Adriano Pedrosa, artista queer, prende il titolo da un’opera del collettivo Claire Fontaine, realizzata con sculture al neon replicate in 53 lingue, alcune oggi estinte: un messaggio contro il  razzismo e la xenofobia

Si tratta quindi di una Biennale dedicata a tutte le persone in movimento, più o meno reale, perchè osteggiate, perseguitate, esiliate: situazioni che significano lontananza dagli affetti, dalle tradizioni, dalla propria lingua, dalle abitudini e persino dal cibo tradizionale

Una Biennale che vuole riscoprire e valorizzare l’importanza delle piccole tradizioni di famiglia, quei gesti spesso inutili, vagamente scaramantici, che amiamo fare per ritrovare un attimo il noi stessi bambini, nella famiglia che ci ha fatto crescere e protetto

Insomma, una Biennale che parla di artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, esiliati e rifugiati, in particolare coloro che si sono spostati dal Sud al Nord del mondo: migrazione e decolonizzazione sono le principali tematiche

Non dimentichiamo che il primo significato della parola queer è “strange“, strano, quindi l’artista che si identifica con questa definizione è necessariamente un outsider

L’ingresso al Padiglione Giardini è una straordinaria opera di Street Art eseguita dal Colettivo Maku. Rappresenta un’antica leggenda che vuole un coccodrillo in grado di salvare l’umanità, ma che, tradito dagli uomini stessi, alla fine li abbandona al loro destino di morte

L’opera con cui si apre l’esposizione è “Stranieri ovunque – – L’esilio è un duro lavoro”, opera dell’artista turca Nil Yalter che condivide con Anna Maria Maiolino il Leone d’Oro alla Carriera

La sala successiva propone un primo Nucleo storico: una collezione chiamata “Astrazioni“, opere realizzata da artisti provenienti da Asia, Medio Oriente, Asia e America Latina

Tra gli altri, l’opera di Esther Mahlangu, realizzata a oltre 80 anni di età, Carolina Herrera con il suo spiritoso “Halloween” dipinto su iuta, l’opera caleidoscopica di Fahrelnissa Zeid, Samia Halaby che, ebrea, rappresenta il segno cristiano della croce in colori cupi che fanno presagire difficoltà a trovare la pace, fino ai meravigliosi bambù dipinti di Ione Saldanha

La stanza successiva ci mostra le sculture in ceramica, ma luminosissime per la loro copertura dorata di Rubem Valentim. L’artista rappresenta un’autorità tale da poter rappresentare i disegni caratteristici dello sciamanesimo

Facciamo tappa nel suggestivo spazio all’aperto disegnato da Carlo Scarpa dove è rappresentato un giovanissimo ragazzo con un accenno di seno: la rappresentazione della crescita adolescenziale, a volte caratterizzata da una momentanea ambiguità ……

Omar Mismar realizza un mosaico con i resti delle coperte usate per scaldare i migranti nel momento in cui sono raccolti e salvati. A volte presi nelle maglie della malavita, se commettono errori possono essere puniti in modo atroce, come ci mostra il sudario di Teresa Margolles

Il secondo nucleo storico propone una serie di ritratti, sempre realizzati da artisti che non provengono dal mondo occidentale. Ogni ritratto ha una caratteristica, una storia, come quello di Emma Reyes, straordinario per bellezza, forza e originalità, di Olga Costa con i suoi grandi occhi azzurri, trasfigurato come quello di Wifredo Lam

Ci fermiamo davanti alla “Old Colony” di Portorico, da Porto Ricco a luogo di emigrazione

Delicatissimi i lavori su tela di lino di Evelyn Taocheng Wang, accostato alle inconfondibili ceramiche di Nedda Guidi

Donne che hanno avuto una vita difficile: Liz Collins propone due magnifici arazzi che celebrano la comunità LGBTQIA, Aloise racconta la sua vita difficile, al limite della follia

Maria Taniguchi fa barcollare le nostre certezze con i suoi muri non eretti, ma appoggiati alle pareti

Leopold Strobi celebra gli austeri paesaggi montani in immagini dalle dimensioni del video di un cellulare

Aref el Rayess celebra il “suo” Libano come un paese distrutto

Kay WalkingStick riprende paesaggi naturali dell’America del Nord dove, al posto di stazioni di rifornimento  disegna motivi della tradizione dei nativi americani

Al momento della “pausa pranzo”, non possiamo mancare una visita sllo straordinario bar disegnato da Tobias Reheberger

Ultime tappe nel padiglione Giardini: Abel Rodriguez, colombiano, esprime la sua profonda conoscenza e rispetto per la natura, in particolare gli alberi

Una sala è dedicata alla tragedia dell’omosessualità, troppo spesso trattata come follia, o non accettata dalla famiglia, e non solo in anni lontani. Qui gli esempi di Filippo de Pisis, Louis Fratino, l’indiano Bhupen Khakhar

Giulia Andreani celebra le donne e le loro battaglie per uscire da stereotipi dolorosi: l’attrice, troppo spesso tratta come una prostituta, la suffragetta costretta in casa dal marito, le bambine e le ragazze orfane preparate per un mestiere “femminile”, come cucito o ricamo. Tra i disegni, uno della famiglia Maramotti agli albori dell’esperienza sartoriale diventata poi famosa con il marchio Max Mara

Chiudiamo con Madge Gill e la sua vocazione per l’arte così travolgente da portarla a esprimersi di notte

Usciamo per visitare alcuni dei padiglioni degli stati esteri

Il più vistoso è sicuramente quello degli Stati Uniti, coloratissimo, curato da Jeffrey Gibson e intitolato “The space in which to place me“. Da un punto di vista attuale secondo il quale si vale solo se ci si espone, la critica all’esposizione della cultura dei nativi americani a volte non rispettata nè capita dagli americani “wasp”

Dopo gli Stati Uniti, i deludenti Paesi Nordici, e poi l’innovativo e interessante “Compose” del Giappone: energia elettrica generata dagli enzimi della frutta deperita (antispreco!)

Il padiglione della Corea del Sud ci sorprende con il solo arredamento di doghe e forme di legno, naturalmente profumato

La Francia cerca di superare la scultura classica, come quelle di Versailles, per proporre intrecci ispirati alle ragnatele, non meno belli

Concludiamo con il vincitore del Leone d’Oro, il Padiglione dell’Australia dove l’artista Archie Moore, di origine Maori per parte di madre, racconta come i rappresentanti di questa etnia vivano in condizioni di forte svantaggio, al punto da non avere rispetto nemmeno al momento della morte: i documenti esposti sono spesso incompleti o con parti cancellate per nascondere storie di soprusi e violenza

Altrettanto toccante è il padiglione della Polonia, “Ripeti dopo di me”, dove persone comuni invitano a ripetere il rumore delle armi russe nella vicina Ucraina. La Polonia è stata la prima nazione ad accogliere i profughi ucraini dopo l’invasione russa

La visita per oggi è finita, la serata si conclude al ristorante Jonny, già sperimentato

6 novembre

La giornata, secondo programma, è dedicata a mostre diverse, che non fanno pate della Biennale

Con il vaporetto raggiungiamo l’Isola di San Giorgio, sede della Fondazioni Cini. Ammiriamo la facciata palladiana della chiesa dedicata a San Giorgio, facciata davvero maestosa, elegante, possente e insieme non opprimente

La chiesa è consacrata, e gestita da un convento di monaci benedettini che, con la loro confraternita Benedicti Claustra onlus, ogni anno concedono spazio a un’artista per una o più opere. Quest’anno è dedicato alla scultrice belga Berlinde de Bruyckere, che ci conduce alla conoscenza di City of Refugees III, o dei tre Arcangeli, immaginati come figure coperte da logore coperte, pronte a spiccare il volo, ma trattenute da una situazione fisica di grande difficoltà. Non dimentichiamo il filo conduttore di questa Biennale, Stranieri ovunque: vale anche per gli arcangeli

Le sculture sono proposte accostate a specchi così, nel gioco dei riflessi, è facile capire il dialogo tra il nuovo e l’antico.

La mostra continua in sacrestia, con altre sculture che richiamano cori sofferenti, vicini al mondo animale, vicino al mondo vegetale, tanto caro all’autrice

E infatti alcuni alberi, trattati con sapienza e proposti quale fossero feriti sul tavolo operatorio, riposano sotto l’affresco del Savoldo

La mostra si conclude con la rappresentazione di bancali coperti si pelle di animali che in realtà sono fatte con materiale di sintesi: si apre il pensiero verso un mondo più generoso e rispettoso verso gli animali

Lasciamo l’Isola di San Giorgio per raggiungere Punta della Dogana e visitare la mostra di Pierre Huyghe intitolata Liminal

La mostra ci conduce in un viaggio nell’Intelligenza Artificiale e le ipotesi di problematiche che si porta dietro

All’inizio, figure femminili che, seppure in grado di dare la vita, hanno perso la faccia, e quindi l’identità

Poi un’antenna che capta i movimenti e le interazioni con l pubblico, per trasmettere movimenti e luce generati dal pubblico, con le sue emozioni, i suoi movimenti, la sua energia

Per contro, in grandi vasche troviamo pesci diventati ciechi perchè vivono a profondità tale che la luce non arriva, granchi così eleganti da competere con una scultura di Brancusi, insetti presenti sulla Terra da milioni di anni

La mostra si conclude con un ipotetico avatar che prende vita e si trasforma a suo piacere.. o dovere?

Sulla strada, le botteghe artigianali a Venezia

Dopo una breve pausa per il pranzo raggiungiamo Palazzo Grassi per una vastissima mostra dell’artista Julie Mehretu insieme ad altre voci (Ensemble) di altri artisti legati alla protagonista da affetto o amicizia

Julie Mehretu è straordinaria nel saper comporre tele di diverse dimensioni che, patendo dal particolare sgranato di una fotografia, vengono coperte dal colore e da segni grafici, in grado di dialogare con noi in termini di amicizia, paura, tristezza …

Tra gli artisti che incontriamo, c’è David Hammons che riesce a trasformare in opere d’arte anche cartoni ricoperti di plastica. É sua l’idea di una bandiera per l’Africa, a simboleggiare l’unione di tutti gli Stati africani, unione mai realizzata

Paul Pfeiffer ci propone parti anatomiche in legno, bellissime, e si presenta con l’Incarnator, figura al limite del religioso nelle Filippine

Troviamo poi Jessica Rankin, che completa i suoi lavori con un ricamo, e ancora Nairy Baghramian, Huma Bhaba, Tacita Dean, Robin Coste Lewis

Esausti, torniamo a casa: spesa e cena

7 novembre

A causa di uno sciopero dei mezzi di trasporto, dobbiamo anticipare il ritorno, ma riusciamo comunque a visitare anche l’Arsenale

È il collettivo femminile māori Mataaho Collective ad aggiudicarsi il Leone d’Oro per il miglior partecipante alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, con l’opera Takapau,

Dedichiamo il giusto tempo al Padiglione Italia, curato da Luca Cerizza: Due Qui – To Hear. Questi ha scelto l’artista Massimo Bartolini, che non si è mosso da solo, ma ha collaborato con musicisti contemporanei e brillanti scrittori: qui si ascolta lo spirito del Vuoto

Molte le opere che omaggiano il mondo transgender

Tante bellissime tele decorate e ricamate

Infine, omaggio agli artisti italiani

e alla tragedia delle migrazioni

Venezia insolita