(6 – 9 ottobre 2022)
6 ottobre
Oggi partenza per Venezia, con il comodo è puntualissimo Italo treno che ci recapita con un’ora di ritardo, a causa di una persona vittima di un malore sul treno stesso
Anche il vaporetto davanti a Santa Lucia si fa attendere a lungo, e finalmente, intorno alle 17, siamo a casa, nell’appartamento al Campo Do’ Pozzi. La casa è una piccola bomboniera affacciata sull’acqua del canale e, dal lato opposto, sul giardino privato, ed è perfetta per due persone.
Il poco tempo rimasto, nel pomeriggio, ci consente solo di andare a fare la spesa, e poi prepararci per andare a cena da Jonny, un bel ristorantino in Campo de le Gate.
Dopo la cena ci avviamo per un primo giro ricognitivo del quartiere e oltre: ritroviamo strade già percorse e nuovi passaggi, in un dedalo di vicoletti dove non passa quasi nessuno, fino a raggiungere, quasi inaspettatamente, la Riva degli Schiavoni. Lì c’è il mondo che si sposta in un via vai continuo verso e da San Marco, ma oltre, leggermente più a levante, ci aspetta una sorpresa straordinaria: la nave-scuola Amerigo Vespucci, con i suoi giganteschi tre alberi, è ferma poco più avanti, luminosa e maestosa. A quest’ora della sera la nave è pienamente illuminata con i colori della bandiera italiana, e a me sembra di non aver mai visto niente di più grande e maestoso. La giornata si chiude con questa bellissima immagine, domani si va ai Giardini
7 ottobre
Oggi visitiamo i Giardini di Biennale, con la straordinaria guida della professoressa Alessandra Montalbetti, grande esperta di arte contemporanea. Nell’attesa dell’ora dell’appuntamento, facciamo un giro nei piccoli parchi che corrono paralleli al mare, dove sono installate diverse sculture, alcune figurative, altre giocose, altre infine dedicate alla natura, con un bel messaggio di recupero del rapporto con la terra, o meglio, con la Terra.
Perché “Il latte dei sogni”? È il titolo di una favola surreale scritto dall’inglese Leonora Carrington, compagna di Man Ray, la quale, in quanto donna, e comunque bravissima, non ha mai visto pubblicati i suoi lavori letterari se non postumi. Da qui, il tema, il filo conduttore di tutta la mostra, curata da Cecilia Alemani: le discriminazioni a cui noi donne siamo soggette per tutta la vita, a volte senza nemmeno rendercene conto, il razzismo è il bullismo ancora così presenti nella nostra società, anche se sotto traccia, le convenzioni a cui aderiamo per abitudine e consuetudine, senza con questo renderci conto di quanto ne siamo condizionati. In parallelo, l’attenzione estrema alla sostenibilità, all’ambiente, che ormai non può più aspettare nè tollerare i nostri errori.
Gli allestimenti, infatti, sono stati curati dalla coppia “Forma Fantasma”, due giovani italiani che hanno saputo riciclare gran parte del materiale della precedente biennale di architettura, e che hanno spesso inserito allestimenti con tessuti recuperabili, da donare, a fine biennale, a cooperative sociali del Veneto. Insomma, una biennale densa di emozioni, a tratti commovente, toccante.
Il leone d’oro alla carriera è stato assegnato all’artista tedesca Katharina Fritsch la quale, anziché portare opere già pronte, ha scolpito per la Biennale una maestosa elefantessa in bronzo, immagine della forza femminile e della posizione di capobranco che compete, nella sostanza, a quasi ogni donna
La visita inizia, com’è giusto, dal padiglione centrale. Ad accoglierci c’è un’ascia piantata in una colonna – di bellissimo vetro con i colori dell’arcobaleno – due vongole severe e due chele che sembrano generate da una betoniera, quindi tutt’altro che rassicuranti
Dopo aver ammirato L’elefantessa sotto la cupola di Galileo Chini, incontriamo Cecilia Vicuna, Leone d’oro per la miglior partecipazione. I suoi dipinti un po’ figurativi è un po’ metaforici sui condizionamenti ai quali è sottoposta una donna per tutta la vita, sono estremamente espliciti, pur nella bellezza di un dipinto. Finalmente, quest’anno, il numero delle donne supera quello degli uomini, almeno per la parte di competenza di Cecilia Alemani.
Tra i primi incontri c’è Andra Ursuta, con le sue bottiglie metaforiche contro L’alcolismo femminile, e Rosemarie Trockel, qui con un messaggio chiaro, in linea con il nuovo femminismo: come donna sono sempre stata valutata meno degli uomini a prescindere. Oggi voglio che questo sia superato, ma voglio essere io a decidere cosa fare, di cosa occuparmi, a chi o cosa dare il mio tempo, senza imposizioni.
C’è poi Ovartaci, l’artista danese nato uomo (Louis Marcussen), ma intimamente donna che, dopo un intervento di trasformazione, viene internato in manicomio dalla famiglia. Lì, la sua vena creativa non si doma, anzi, e continuerà per tutta la vita.
Tra le artiste da valorizzare ci sono, ovviamente, quelle di colore, tutt’ora guardate con meno attenzione rispetto a chi ha connotati Wasp. Tra queste, Sheree Hovsepian, che fa un omaggio a Carlo Scarpa sotto la finestra da lui disegnata
Arriviamo alla prima delle cinque capsule, necessarie per rendere evidente il filo conduttore dell’esposizione: L’antro della strega propone le opere di un numeroso numero di artiste donne note solo per essere state “la moglie di …”, “la compagna di …” per quanto dotate di molto talento. Spicca tra tutte le opere, un quadro di Carol Rama che racconta graficamente la sua storia di donna privilegiata e ricca, si, ma altrettanto inutile
Jadé Facojutimi, appassionata di cultura giapponese, ci regala le prime opere pittoriche, enormi tele coloratissime e oniriche.
Incontriamo una stanza completamente dedicata a Paola Rego, portoghese, che racconta con efficacia e ferocia i risultati della dittatura di Salazar
Nella stanza successiva, Christina Quarles, grande sostenitrice di movimenti LGBT, offre una efficace interpretazione grafica della sensazione di chi non riesce a identificare bene il suo sesso, e fa emergere un dato sconcertante: sono i neri, nonostante il loro passato di oppressione, i più feroci nemici dell’omosessualità
Questa è, ovviamente, solo una selezione delle opere e delle artiste e artisti presenti
8 ottobre
Arsenale: doveroso completare la visita in biennale con la visita delle installazioni in Arsenale
Troviamo qui un percorso sempre intenso, ma più composito, e potendo valersi di spazi enormi sia in larghezza che in altezza, propone opere più maestose, ma così anche di più facile lettura
All’ingresso ci accoglie il grande busto in bronzo creato da Simone Leigh, chiaramente ispirato da una figura femminile nera. Il titolo è Brick House, perché la gonna fa pensare a una capanna in mattoni. Questa scultura è stata esposta, per la prima volta, sulla High Line di New York. Intorno, ci sono le opere pittoriche della cubana Belkis Ayon, ispirate a una divinità della tradizione.
Nella stanza successiva le gigantesche sculture in argilla di Gabriel Chaile sembrano, a prima vista, dei vasi, ma poi si notano le fattezze antropomorfe, fino alla figura predominante, che troneggia su tutte e che è ispirata dalla nonna. Non dimentichiamo che il filo conduttore di questa mostra è, oltre al rispetto della natura e alla difesa delle categorie in difficoltà, la visione surreale delle cose, e delle persone, sempre in trasformazione: niente è come sembra.
Ed eccoci quindi a Nike de Saint Phalle, con la sua coloratissima donna incinta, dal gran pancione segnato da un bersaglio. Anche la trasformazione del corpo in gravidanza è un mistero da sondare, per quanto sia una trasformazione momentanea
Troviamo qui un’altra capsula: solo contenitori in questo spazio nello spazio, come, tra l’altro, le leggerissime ed essenziali reti di Ruth Adawa, o le eleganti conchiglie di Maruja Mallo. Magdalene Odundo scolpisce e dipinge vasi essenziali e monocromatici, il cui senso è in parte pratico, in parte metaforici: tutto quello che chiamiamo vaso?
La stoffa, il tessuto sono tra i grandi protagonisti di questa biennale. La ritroviamo nelle sgargianti bandiere di Myrlande Constant, ispirate, ma solo un po’, alla tradizione del suo paese, Haiti, che vive un gran miscuglio di culture e religioni.
Altrettanto affascinanti, e per me anche di più, visto che preferisco le opere minimaliste, sono le tele di Pinaree Sanpitak, tele monocromatiche, nelle quali si intravede un contenitore ridotto in linee essenziali, ma proprio per questo di grande d’impatto
Gli ultimi passi prima di uscire dalla costruzione dell’Arsenale sono all’interno di un giardino rigoglioso e popolato di insetti – ben nascosti, ma ci sono – a ricordarci la supremazia della Natura
Visitiamo ancora il Padiglione di Malta, curato dall’artista Arcangelo Sassolino, che interpreta in modo emozionante e sensibile l’opera del Caravaggio “La conversione di San Matteo”, scomponendola in più moduli
Passiamo per le Gaggiandre, sempre belle da vedere, e raggiungiamo, finalmente il Padiglione Italia
“Storia della Notte e Destino delle Comete” è il titolo che l’artista Gian Marco Tosatti ha voluto dare alla sua grandiosa installazione all’interno del Padiglione Italia
In una successione di locali che ripropongono allestimenti di vita e di lavoro attuali fino agli anni ’60 del secolo scorso, la sensazione, penetrante, commovente e a tratti straziante, è il ricordo di un lavoro ripetitivo all’infinito, dove regnava una grande disciplina e un attento controllo, ma inserito in un ambiente dove ancora volavano le lucciole. Oggi, siamo più felici? Abbiamo guadagnato o abbiamo perso nel cambiamento? E saremmo capaci di recuperare quello che abbiamo perso”
Lorenzo Quinn,
Ci resta ancor a un po’ di tempo, e approfittiamo della disponibilità (unica!) per visitare il Palazzo Contarini Polignac, che ospita la mostra dedicata all’artista coreano Chun Kwang Young intitolata Times Reimagined. L’artista basa il suo lavoro sulla creazione di piccoli origami di carta che inserisce in un supporto, e sul quale, con colori e decorazioni diverse, dà vita a composizioni molto diverse. Ovviamente il palazzo, e il panorama sul Canal Grande, hanno valore a sè.
La breve vacanza non può finire meglio che con un aperitivo gustato in Campo San Giacomo da l’Orio, in compagnia di Fabio, Nicoletta e la piccola Arianna, raggiunto via mare sul Canal Grande
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