(24 marzo – 2 aprile 2014)

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Cuba, un’isola lontana, apparentemente senza altra storia che quella della sua rivoluzione, oppure della sua musica trascinante. Mentre prepariamo il viaggio, mi accorgo che di questa terra ho assimilato solo pochissimi aspetti, molto superficiali. Insomma, non ne so quasi niente. Andiamo.

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24 marzo  – Partiamo alla mattina molto presto, a Milano il tempo è sereno ma freddino, il primo breve volo ci porta a Parigi e lì abbiamo giusto il tempo di trovare l’imbarco per il Boeing 777 che ci porterà a Cuba. Il volo parte puntualmente, ma impiega oltre 10 ore per arrivare. Quando atterriamo a La Habana (questa è l’esatta denominazione in castigliano antico) è l’ora del tramonto, e dopo aver sbrigato tutti i passaggi per l’ingresso nel’isola, ormai è buio. Una macchina ci raccoglie all’aeroporto e ci porta all’Hotel Panorama, un palazzone abbastanza anonimo con il solo pregio di essere sul mare, il Mar dei Caraibi. Durante il percorso, ecco la prima sorpresa, inaspettata: le strade sono buie, non esiste l’illuminazione pubblica. Le uniche luci vengono dalle finestre delle case, piccole costruzioni apparentemente costituite da un’unica stanza, un solo piano, un piccolo spazio davanti, aperto, e il vezzo di belle inferriate in ferro battuto alle finestre. In giro, pochissime automobili, e alcune sono proprio i classici modelli degli anni ’50, così affascinanti, ma realmente vecchi.


25 marzo – Lasciamo La Habana, che visiteremo alla fine del tour, e ci dirigiamo verso la Peninsula de Zapata. La strada è molto scorrevole, le automobili sono rarissime, passa qualche camion, in alternativa ci sono carretti trainati dagli asini o dai cavalli, del tutto indifferenti al passaggio del nostro grande pullman, che cambia spesso di corsia per evitare le numerose buche del fondo strada. Guardandosi intorno, si leggono scritte inneggianti alla Rivoluzione. Numerose le persone che fanno l’autostop, e la nostra guida, Carlos, ci spiega che è molto diffuso e regolamentato a Cuba, per garantire la sicurezza di chi viaggia. Intorno a noi ci sono prati verdi con una ricca vegetazione tropicale, in alcuni punti davvero fitta. In cielo volteggiano grandi avvoltoi, che hanno da quaggiù un aspetto molto leggero ed elegante. Numerose le mucche che pascolano libere, ma nonostante l’abbondanza di vegetazione, alcune sono davvero magrissime. Per la prima volta nella mia vita, credo, vedo contadini arare i campi spingendo due buoi che trascinano un aratro tradizionale. Per noi l’aratro di legno è ormai solo un elemento di decoro nelle case di campagna. Durante il percorso Carlos ci racconta un po’ di Cuba, delle sue eccellenze, scuola e sanità, e non insiste sui difetti, come la diffusa povertà, la mancanza di quanto non sia essenziale, come capiremo da soli durante il viaggio. La prima tappa oggi è nel Gran Parco Natural de Montemar, dove sono allevati i coccodrilli, e possiamo vederne di tutte le età, dalla dimensione e di una grossa lucertola, al formato “due metri”, dall’apparenza pacifica e sorniona ma, ci dicono, durante la caccia, velocissimi e astuti. L’unico modo per sfuggire, in caso di attacco, è quello di correre a zig zag o in tondo, in quanto non sono capaci di seguire queste traiettorie. Inutile, invece, rifugiarsi su un albero: la pazienza del coccodrillo è molto superiore a qualunque possibilità di resistenza umana. Con una lancia raggiungiamo un’isola nella Laguna del Tesoro, dove è stato ricostruito un villaggio taìnos, e dove sorgono statue scolpite dalla scultrice cubana, Rosa Longa, che riproducono momenti di vita primitiva. In un piccolo locale aperto ci viene offerto il primo cocktail a base di rum, il Sauco, con latte di cocco e servito all’interno di una vera, e pesantissima, noce di cocco. La gita sull’acqua continua divertente e interessante, vediamo da vicino le mangrovie e alcuni enormi nidi di termiti appesi agli alberi. Al ritorno sulla terraferma, durante il pranzo, ci vene proposta la carne di coccodrillo: è tenerissima, ma ha un retrogusto dolciastro che non mi convince del tutto. Siamo vicini alla famosa Baia dei Porci, dove si è sviluppata la crisi con gli Stati Uniti, le cui conseguenze ancora affliggono l’economia di quest’isola che comincio a trovare meravigliosa, accogliente, a cui comincio ad affezionarmi. Il nome della baia deriva dall’intenso allevamento di maiali che un tempo si conduceva in questa zona. Proseguiamo per Cienfuegos, la città che prende il nome da Camilo Cienfuegos, il governatore che ne promosse la ricostruzione dopo un uragano. Il tempo è pienamente estivo: ci fermiamo per percorrere una larga strada piena di negozi, Punta Gorda, qualche centro commerciale, molte proposte per i turisti, e tanta gente che la percorre. C’è anche un parrucchiere, per uomini e donne: un’enorme stanza con il perimetro allestito di semplici sedie e specchi. Le case sono molto eleganti e ben conservate, in elegante stile coloniale: sono basse, colorate di tonalità pastello delicate e allegre, con ampi terrazzi sul tetto, segno inequivocabile del clima mite di quest’isola. L’impatto con questo centro è positivo, ci raccogliamo sulla piazza principale, Parque Martì, dedicata all’amato eroe cubano José Martì, uno dei primi personaggi a combattere per l’indipendenza di Cuba. L’edificio forse più bello è il

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Teatro Tomas Terry, costruito nel XIX secolo, dalla cui entrata si intravede un elegante interno. Sulla piazza si affaccia anche la Cattedrale intitolata alla Purissima Concezione, dalla facciata bianca, neoclassica, e due luminose cupole rosse. Infine, di fronte, il Palacio Ferrer, curiosa costruzione voluta dal proprietario di una piantagione di canna da zucchero. Sul tetto di un palazzo d’angolo, l’immagine di Che Guevara e una scritta che inneggia alla rivoluzione sembra sottolineare il fatto che qui non esiste la pubblicità, almeno dal punto di vista delle affissioni nelle strade. L’impatto con i problemi dell’isola avviene proprio mentre ci guardiamo intorno e godiamo della fastosa bellezza di questa città: in molti ci avvicinano, ci chiedono se possiamo regalare penne o saponette. Abbiamo la consapevolezza che qui non manca nulla, ma non c’è nemmeno niente di più del minimo indispensabile. Lasciamo Cienfuegos e ci allontaniamo dalla costa per percorrere la parte centrale, collinare, dove vediamo molte coltivazione di mango, oltre al proliferare di un arbusto dall’aspetto invasivo, del quale Carlos ci spiega l’utilizzo come combustibile. Ritorniamo verso il mare, lo costeggiamo e cominciamo a vedere le mitiche spiagge di sabbia bianca, corallina: stasera arriviamo a Trinidad del Mar. Veniamo alloggiati in un villaggio che, in prima battuta, ci lascia molto delusi, in quanto sarebbe stato molto meglio poter dormire a Trinidad. La città festeggia i 500 anni dalla fondazione, e lo fa con una grande festa musicale che frequenteremo in modo molto limitato.

26 marzo – Eccoci pronti la mattina per visitare Trinidad. Arriviamo in questa piccola, sorprendente città, divenuta patrimonio dell’Unesco affinchè non vada perduta la sua antica storia. Come ovunque a Cuba, si alternano zone ripristinate, ristrutturate, più ordinate, con altre dove il degrado e l’incuria sembrano sovrani. Diventa difficile dare a questi posti una valutazione di bello-non bello, nuovo-non nuovo, secondo i nostri consueti parametri. Intanto cominciamo la giornata con la visita a un laboratorio di ceramica. Avendone già visto moltissimi, in altre occasioni, non mi sento particolarmente interessata, ne approfitto per dondolarmi su una delle numerose sedie a dondolo che si trovano vicino all’entrata, e che sono un’altra caratteristica di questo Paese. All’uscita, un gruppo di donne ci propone l’acquisto di collane artigianali, fatte con semi diversi, diversamente accostati. Sono davvero belle, mi dispiacerà poi non averne acquistate di più. Ci spostiamo verso le vie centrali di Trinidad, dove le aree recuperate sono più numerose. Le strade non sono asfaltate, ma mantengono caratteristici ciottoli, e molte abitazioni riflettono un passato di lusso e benessere, sia quelle recuperate e tinteggiate con i consueti colori luminosi, che altre ancora fatiscenti, ma ricche di fascino. Trinidad è stata fondata nel 1514 dallo spagnolo Diego Velazquez, e festeggia il suo 500° anno con un grande festival musicale che coinvolge un po’ tutti i locali. La musica è comunque destinata alle ore notturne, sebbene qua e là si incontrino gruppi spontanei di musicisti che interpretano la musica latino americana. Noi turisti del giorno ci dedichiamo a visitare il Palacio Cantero, dal nome della famiglia che vi abitò nel XIX secolo. E’ un luogo splendido, con un cortile interno luminoso e fiorito, dove sono riproposti esempi di arredi dell’epoca, sebbene di originale ci siano solo due specchiere e un orologio. Dal palazzo stesso si sale al Mirador, una torre dalla quale si gode la vista della città, con i caratteristici tetti attrezzati di serbatoi d’acqua, e si vede fino al mare. Ci raccogliamo poi sulla Plaza Mayor per osservare la Chiesa della Santissima Trinità, che ha una facciata neoclassica e, all’interno, presenta dei begli altari in legno intagliato, oltre al prezioso Cristo de la Vera Cruz, sempre in legno. La chiesa attuale risale al XIX secolo, perché è stata costruita sulle rovine di un’altra, distrutta da un ciclone tropicale. Tutto intorno, le strade acciottolate, il traffico quasi inesistente, le persone che camminano con passo un po’ indolente, i mercatini dell’artigianato presenti in quasi tutte le strade, danno un insieme del carattere di questa città, che sembra ferma al passato. Ci concediamo un momento di riposo e di degustazione alla Canchànchara, locale storico che propone il suo caratteristico cocktail a base, indovinate un po’, di rum. Anche qui non manca la musica e, per molti, il piacere di ballare. Ma il vero simbolo di Trinidad è la chiesa e il convento di San Francesco, una costruzione dalle forme morbide e dai colori pastello, che sembra fatta di zucchero. Il campanile è visitabile, e naturalmente ci arrampichiamo in cima, fino alla famosa campana: da qui il panorama è ancora più ampio che dal Mirador.            

Dopo il pranzo, ci regaliamo un buon caffè sulla Plaza Mayor, e poi ci perdiamo ancora tra le deliziose stradine di Trinidad. Rientriamo in albergo e abbiamo il tempo di fare un graditissimo bagno, il primo nel Mar dei Caraibi. Qualche ora in spiaggia e, alla sera, aragosta a cena: una delusione, è troppo cotta, asciutta e poco gustosa. Ma siamo a Caraibi!

27 marzo – Oggi è la giornata dedicata alla visita di Santa Clara e al pellegrinaggio per gli eroi della rivoluzione cubana. Ripartiamo con il pullman e attraversiamo altra terra, altra foresta tropicale. Ai lati della strada, ogni tanto, capita di vedere una o più lapidi, là dove sono stati giustiziati alcuni dei combattenti. Durante il tragitto Carlos ci parla un po’ dell’economia di Cuba, che vede coinvolti sia gli abitanti e le loro piccole imprese, sia gli stranieri per i progetti più importanti, ai quali possono partecipare anche i, pochi, cubani ricchi.              

E ora è il momento della storia della rivoluzione, e soprattutto del suo grande eroe, il Che.Ernesto Guevara de la Serna era un medico argentino, particolarmente generoso e sensibile ai problemi dei popoli oppressi. Il sopranome Che (pronuncia Cie) deriva dall’abitudine della parlata argentina di iniziare ogni frase con questa espressione, “che”, ed era stato dallo stesso Guevara talmente interiorizzato da diventare parte della propria firma.Nel 1956 incontra Fidel Castro e il fratello Raoul, ancora adolescente, e si unisce alla loro lotta per liberare Cuba dalla dittatura di Fulgencio Batista. La rivoluzione attraversa tutta l’isola, da est a ovest, da Santiago, passando per Santa Clara al centro, a La Habana a ovest. L’esercito rivoluzionario attira la classe poverissima dei contadini, che si uniscono ai combattimenti. Nel 1958 Fidel e il Che combattono insieme per la prima volta, ma è nella battaglia di Santa Clara che la rivoluzione e la liberazione di Cuba si compiono.Un treno blindato carico di armamenti destinati a rinforzare l’esercito di Batista era atteso di passaggio vicino a Santa Clara. Qui il Che e gli uomini la suo comando sferrano un attacco potente e riscono a far deragliare il treno. Da questo momento la rivoluzione di Cuba può dirsi conclusa e Ernesto Guevara ne diventa un artefice e un eroe. Il 30 dicembre 1958 Batista scappa da La Habana, Fidel e Che proclamano uno sciopero generale, bloccano i contatti con gli Stati Uniti e danno vita al Governo. In qualità di medico, il Che avrà il Ministero della Salute, oltre ad altri Ministeri, ma la sua integrità morale è così forte che, appena si rende conto della piega meno nobile che prende il regime di Fidel Castro, nel 1967 abbandona Cuba per portare il suo aiuto ai popoli oppressi della Bolivia. Ormai noto per il suo coraggio, ma anche per il suo carisma, l’anno successivo viene assassinato dalla Cia, e gli vengono amputate le mani, come messaggio simbolico della sua fine definitiva.

Ernesto “Che” Guevara de la Serna muore a 40 anni. A Santa Clara, nel 1984, gli è stato dedicato un monumento imponente e intensamente di regime, con una statua in bronzo di rara bruttezza. Da questo momento il Che diventa “Figlio illustre” di Cuba. All’interno però ci sono moltissime foto di Che Guevara, di Fidel e Raoul Castro, dei numerosi compagni di avventura, dei figli e della famiglia, e una documentazione completa e interessantissima. Nella parte retrostante, quasi nascosto, si apre il tempio laico che lo celebra, e con lui celebra molti altri eroi caduti durante la rivoluzione, tutti indicati con il nome di battaglia. Per ognuno di loro, ogni giorno, un garofano fresco viene posto vicino alla lapide, e un fuoco eterno ricorda il Che e le sue imprese. Raramente ho visitato un luogo di culto dall’atmosfera tanto intensa e suggestiva. Non c’è però sicurezza che le spoglie del Che riposino veramente a Santa Clara: solo nel 1998 la Bolivia ha permesso che venissero fatte ricerche in questo senso, e quanto trovato non convince pienamente. Ma non importa, perché il simbolo è comunque fortissimo. Oggi la memoria del Che è conservata dalla primogenita dei suoi quattro figli. Dopo la visita a mausoleo di Santa Clara, ci spostiamo a visitare quanto rimane, e quanto è stato ricostruito, del treno blindato: sette vagoni con immagini dell’epoca, abiti, reperti, ritratti. Siamo più o meno nel centro dell’isola, ci aspetta un lungo viaggio di ritorno a La Habana. Arriviamo che è ancora chiaro, passiamo forse da un quartiere particolare, ma è uno shock: le case non sono vecchie, sono fatiscenti, puntellate in modo precario; su terrazzi semi distrutti sventolano bucati miseri, quanto si intravede all’interno non è meglio di quello che c’è fuori. Nessuno sembra sofferente, ma le condizioni di vita sembrano molto difficili e misere. Ci appoggiamo ancora una volta all’hotel Panorama, che ora, a confronto con il villaggio di Trinidad, mi sembra lussuosissimo, e dopo cena ci lanciamo per un primo incontro con la tradizione. Prendiamo un taxi, e andiamo al mitico Floridita, il bar più bello de La Habana, dove gustiamo un ottimo Daiquiri e assistiamo a uno spettacolino musicale di qualità. Ci lanciamo poi a piedi tra le strette strade dell’Habana Vieja, fino a trovare la Bodeguita del Medio, troppo affollata per una sosta, e la splendida Cattedrale, perfettamente illuminata.

28 marzo – In una splendida giornata calda e piena di sole, cominciamo il giro a La Habana moderna, in particolare dedichiamo un bel po’ di tempo al quartiere Miramar, dove si raggruppano i palazzi delle Ambasciate. Qui le costruzioni sono molto belle e molto ben tenute, eleganti, fronteggiate da rigogliosi giardini. Ci fermiamo in un piccolo parco dove si stagliano numerosi Ficus Elastica, la pianta che cresce anche in larghezza moltiplicando le sue radici verso terra. Carlos ci dice giustamente che i bambini della zona non resistono e si appendono a queste radici, danneggiando un po’ le piante stesse. Ci riempiamo gli occhi con il mare sul quale si affaccia il Malecom, la bellissima passeggiata a mare de La Habana, il Palazzo del Campidoglio, oggi non visitabile perché in restauro. Di fronte, verso il mare, diamo un’occhiata veloce al monumento dedicato al generale Maximo Gomez. Raggiungiamo la Plaza de la Revolucion, uno spazio enorme e un po’ squallido, dove su un lato sorge il Memorial José Martì, un monumento verticale particolarmente anonimo, di fronte sono rappresentate le enormi effigi di Che Guevara e di Camilo Cienfuegos e, intorno, altri edifici squadrati che sono sede di alcuni ministeri, del Palazzo del Governo e della Biblioteca Nazionale. In questa piazza si sono proposti alla folla due papi, Giovanni Paolo II nel 1988 e Benedetto XVI nel 2012. Oggi per noi è un ottimo punto di osservazione per le vecchie auto anni ’50, ancora molto presenti sull’isola, sidercar, moto taxi e altre amenità. La tappa successiva è l’approfondita visita della fabbrica del rum Legendario, visita moderatamente interessante, dove possiamo degustare rum di diversi livelli di invecchiamento, oltre a un delizioso cocktail di caffè, rum e cioccolato che viene incendiato con una cerimonia molto coreografica. Il costo del rum è davvero basso e, nonostante la difficoltà a viaggiare in aereo con bottiglia di vetro, ognuno di noi fa scorta. Ritorniamo verso il centro della città, che ormai mi ha pienamente conquistata con il suo fascino decadente, e raggiungiamo il Castillo della Real Fuerza, possente monumento difensivo, purtroppo piazzato nel posto sbagliato. La prima costruzione risale al XVI secolo, e successivamente la fortezza è stata distrutta e ricostruita, perché comunque importante dissuasore per i nemici. Oggi è una galleria d’arte permanente. Ci spostiamo per dare un’occhiata a El Templete, o Piccolo Tempio, un monumento neoclassico che vuole ricordare il Partenone di Atene e sorge sotto un vecchio albero di ceiba. E’ un monumento molto caro ai cubani, che ogni anno, il 19 dicembre, data di fondazione della città, fanno alcuni giri intorno all’albero chiedendo che i proprio desideri vengano esauditi. Ci addentriamo nella Habana Vieja, dove le ristrutturazioni sono completate, i palazzi si presentano nel loro pieno splendore, forti della loro antica storia. Partiamo dalla Plaza Vieja, con i suoi eleganti palazzi e i freschi portici, continuiamo per le caratteristiche stradine: una per tutte, la Strada de lo Opisco, o del Vescovo, dove hanno sede Ministeri e palazzi governativi. Ritroviamo finalmente la Cattedrale, nell’omonima piazza, splendida nel suo ricco stile barocco modulato dalla misurata tonalità della pietra grigia. La piazza, che ieri sera era vuota e silenziosa, di giorno è piena di gente e bancarelle piene di oggetti per i turisti. L’interno della cattedrale è ampio e chiaro, con l’immagine della Madonna sull’altare maggiore. La chiesa è intitolata all’Immacolata Concezione. Ci allontaniamo dal mare, ritorniamo verso il centro de La Habana Vieja, e ci fermiamo davanti alla Bodeguita del Medio, dove c’è musica e si balla, anche in pieno giorno. Troppo affollata per riuscire a entrare, rimandiamo la visita e ci regaliamo un cocktail all’hotel Ambos Mundos, che ha avuto l’onore di ospitare, nelle sue stanze, lo scrittore Ernest Hemingway: le pareti sono piene delle sue fotografie. Continuiamo la passeggiata per l’Avana Vecchia, riempiendoci gli occhi con le case a colonne, i colori pastello, gli antri fioriti e arricchiti da opere d’arte. Ogni angolo è motivo di interesse e di stupore. La stessa città che ieri si era presentata cadente e fatiscente, oggi si mostra elegante e splendente, orgogliosa della sua storia.

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La tappa successiva è la bella chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi, affacciata sull’omonima piazza dal perimetro irregolare. Sul percorso, osserviamo l’acquedotto della città, denominato Zanja Real. La chiesa non è visitabile, ci dobbiamo accontentare di una sbirciata veloce, e di ammirare le pesanti campane poste all’esterno dell’ingresso. Prima di pranzo riusciamo ancora a vedere il palazzo della Borsa, per poi salutare la maggior parte dei nostri compagni di viaggio, in quanto ognuno di noi proseguirà con un itinerario diverso. La nostra guida ci accompagna all’Hotel Inglaterra, vero monumento storico oltre che albergo, situato proprio al centro della città, a pochi passi dal Campidoglio e dal Gran Teatro.

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Purtroppo ci fermeremo qui solo poche ore, in quanto la partenza per domattina è fissata davvero molto presto, ma è comunque un piacere e un’emozione poter vivere questi spazi così lussuosi, portatori di una storia coloniale piena di eventi. Abbiamo alcune ore libere nel pomeriggio, e ci lanciamo a una visita della città secondo le nostre preferenze: incominciamo tornando al Floridita, tanto per dargli un’occhiata anche di giorno, e riprendiamo il percorso tra le strade della Habana Vieja, fino a incontrare la “Farmacia francese”, oggi museo oltre che negozio, bellissima da vedere con gli arredi di legno, i contenitori in ceramica decorata ordinatamente posati su tutti gli scaffali, e alcuni oggetti e documenti, ricordi del passato.

Facciamo una breve tappa in un altro locale storico, il Café Paris, e continuiamo fino alla casa più antica de La Habana, la Casa de Obispo. Il nostro obiettivo è la Bodeguita del Medio dove, vista l’ora – siamo a metà pomeriggio – ci auguriamo di poter entrare senza problemi. E così succede: ci accomodiamo a un tavolino all’ultimo piano, con vista sui tetti, e beviamo il mojito più buono del mondo, senza trascurare di incidere i nostri nomi in mezzo alle migliaia di altri già presenti sulle pareti. Le pareti del locale sono un’infinita galleria fotografica dedicata a tutti i personaggi famosi che sono passati di qui.

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Dopo il cocktail, facciamo una piccola deviazione sul mare e rientriamo verso l’hotel attraverso il Paseo del Prado, una delle strade più belle de La Habana, dove si affacciano edifici storici come l’Hotel Sevilla, e dove lo spazio centrale della strada, pedonale, è pavimentato e frequentato dai ragazzi che corrono sui pattini a rotelle e sugli skateboard. Le numerose panchine di pietra invitano a qualche sosta riposante. Alla fine del percorso, mentre siamo ormai in vista dell’hotel, ci viene incontro una sfilata di automobili anni ’50, coloratissime.

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29 marzo – Alle quattro e mezzo del mattino, con solo un caffè in corpo, siamo prontissimi per volare a Cayo Largo. Un pullman ci porta nel piccolo aeroporto di Playa Baracoa, dove ci aspetta un piccolo aereo delle linee Aerogaviota, dedicato a questo breve viaggio. Il mio posto è lontano dai finestrini, e vivo la strana sensazione di non riuscire a capire se l’aereo è fermo o si muove, se vola o è ancora a terra, non vedendo nulla all’esterno. Il volo è comunque tranquillo e comodo, e ci viene offerto un delizioso caffè.
L’arrivo a Cayo Largo è surreale: all’aeroporto ci accoglie un gruppo musicale che esegue ritmi cubani, ma appena fuori, nell’aria limpidissima del primo mattino, quello che colpisce è lo straordinario silenzio, rotto solo dal canto degli uccelli. Un pullman scoperto ci porta al nostro hotel, Sol Pelicano, e dobbiamo subire una piccola delusione, il mare è molto mosso. Non me lo aspettavo, ai Caraibi! Per fortuna sarà solo un problema limitato al primo pomeriggio. Abbiamo comunque abbastanza da fare ad apprezzare la sabbia corallina, bianca e incredibilmente fresca nonostante il sole cocente, e ad assaggiare i cocktails a base di rum che ci vengono offerti. Anche se avevamo già fatto una buona conoscenza durante il tour, è qui che la nostra amicizia con Lucia prende piena forma.

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30 marzo – Per quanto la spiaggia e il mare davanti al nostro hotel siano bellissimi, sappiamo che a Cayo Largo ci sono due delle spiagge più belle del mondo. Per raggiungerle, prendiamo un buffo trenino che in mezz’ora ci scarica sulla prima, la Playa Paradiso. Ed è in effetti un paradiso di sabbia bianca, palme, silenzio e un mare lagunare che vistiamo con una lunga passeggiata attraverso le secche sabbiose, dove l’acqua ha tutti i colori dell’azzurro e del verde mescolati o alternati insieme: una cartolina! Gli spazi sono talmente ampi che la presenza di altre persone è quasi inavvertita.

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Dalla Playa Paradiso ci spostiamo a piedi per raggiungere Playa Serena, attraverso un percorso fatto di sabbia bianchissima, arbusti spontanei e curiosi uccellini che beccano nella sabbia umida. L’arrivo a Playa Serena è la scoperta di un angolo di mondo indescrivibile. La spiaggia, bianchissima, è immensa, con un boschetto di palme verso l’interno. L’acqua è del più puro turchese e invita a bagni lunghissimi.

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Poco distante, una recinzione trattiene due (poveri) delfini, che nuotano in questo spazio ristretto per offrire, a chi lo desidera, l’opportunità di fare il bagno insieme. Il mare è talmente bello e trasparente che si vorrebbe non uscire mai. Invece prima o poi bisogna rientrare. In albergo, ci arrampichiamo su una torre panoramica, per vedere il panorama dell’isola, e ceniamo nel ristorante che propone cucina cubana. Io scelgo il piatto che si chiama “roba vieja”, fatto con straccetti di carne conditi con spezie molto aromatiche, davvero buono. Dopo cena ci avviciniamo alla spiaggia e, grazie al buio quasi totale, possiamo osservare il meraviglioso spettacolo delle stelle in cielo. Proprio sopra di noi ci sono Sirio, e la costellazione di Orione, mentre spostati verso est si riconoscono l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, in una posizione leggermente diversa rispetto all’ Italia.

31 marzo – Oggi ci organizziamo per fare una gita in catamarano. Anziché scegliere la proposta dall’albergo, andiamo alla Marina di Cayo Largo e ci imbarchiamo sul Cococlub, che ci porterà a visitare la laguna e il reef. La gita in barca è sempre molto divertente, e anche se il catamarano non alzerà mai le vele, preferendo l’andatura a motore, sarà comunque una bellissima esperienza. Ci allontaniamo dal porto passando in mezzo alle mangrovie, e la prima tappa è l’isola delle iguana.

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Nonostante millantassi che mai sarei scesa in mezzo a quei rettili, non resisto e, con Mara, ci uniamo al gruppo che scende dalla barca per raggiungere l’isolotto. Irresistibili sono il paesaggio intorno, il mare trasparente e turchese, l’isola di sabbia bianchissima. Gli iguana si rivelano innocui lucertoloni inespressivi, come tutti i rettili del resto, alcuni con una corazza dalle belle tonalità grigio-blu, completamente indifferenti alla nostra presenza, e poco sensibili anche al cibo che qualcuno gli ha portato, evidentemente hanno sufficiente nutrimento o sufficienti turisti che ci pensano. Riprendiamo la navigazione in questo mare cristallino dai colori meravigliosi, per fermarsi nella cosiddetta piscina, un’area vasta e poco profonda dove, ci dicono, è possibile trovare ricci di mare, stelle marine e conchiglie. Io mi sento fortunatissima perché trovo la mia personale stella, bellissima, verde, che prendo in mano per pochissimi istanti, abbastanza per avvertire sul palmo le sue tenere ventose che cercano di aderire, la mia lucky star.

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Paolo ne trova una enorme, rossa, molto meno simpatica della mia. Ora ci dirigiamo verso il mare aperto, verso la barriera corallina dove faremo il bagno con le maschere e potremo osservare i fondali tropicali. Il mare diventa più profondo, e quindi più blu. Non troviamo, qui immersi, la vivacità e la concentrazione faunistica del mar Rosso, dove sembra davvero di essere dentro un acquario, ma ci sono tantissimi pesci e alcuni molto grossi. Il ritorno è una piacevole crociera al sole.

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Scendiamo a Playa Serena, dove i delfini ci danno il benvenuto, e ci dirigiamo subito in spiaggia: Lucia ci aspetta con una fresca bibita al cocco.

Un’ultima passeggiata sulla battigia ci regala la sorpresa di una terza stella marina, grande, gialla, bellissima. La teniamo fuori dal’acqua solo il tempo di fare la fotografia! E’ il saluto più bello e più vivo che ci regala questa isola da sogno.

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1 aprile – Stamattina riprendiamo il nostro piccolo aereo e torniamo a La Habana. Ci dispiace molto andare via, siamo stati conquistati dalla dolcezza di queste persone, dalla musica vivace e malinconica, sempre presente in sottofondo, dalla bellezza della natura. Durante il volo di ritorno ho la fortuna di sedere vicino a uno dei pochissimi finestrini, e mi diverto a fotografare l’arcipelago sotto di noi, con l’Isola della Gioventù, che si riconosce perfettamente. La partenza tempestiva ci regala quasi una giornata per visitare La Habana con i nostri tempi. Dopo aver lasciato i bagagli nell’albergo di appoggio, ci dirigiamo subito verso il porto, per dare un’occhiata al mercato coperto dell’artigianato, una vasta zona dedicata rigorosamente ai turisti. Da qui raggiungiamo la bellissima chiesa di San Francesco d Paola, un monumento insolitamente isolato che pare sorgere dal nulla. Questo si spiega perché la chiesa barocca, costruita nel XVIII secolo, era destinata alla demolizione, e si è salvata solo grazie all’intervento di un privato che ha acquistato l’area dove sorge.

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Guardandola, si capisce che alcune parti sono state abbattute e perdute, ma quanto resta è sufficiente per comprenderne la bellezza originale e la maestosità. Ci tuffiamo ancora una volta nell’irresistibile dedalo di stradine assolate de la Hanana Vieja, fino a raggiungere un’altra volta la Chiesa di San Francesco d’Assisi, e sederci sulla panchina dedicata sorprendentemente a Chopin. Ci perdiamo tra le strade, in mezzo a questa bellezza decadente e affascinante che riempie gli occhi e tutti i sensi, fino al cuore. Capisco che non bastano le immagini a descrivere pienamente questa terra, perché le sensazioni che rimanda sono tante, e vanno dalla colonna sonora, dai ritmi lenti e morbidi degli abitanti, dalla luce e dall’aria leggera, dai colori vivaci e puliti. Hasta siempre, Cuba.

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