(fine aprile 2009)

Il mio viaggio ad Amsterdam risale al 2009, pochi giorni dedicati a una città che si dimostra da subito molto accogliente. Amsterdam è una città a colori.

Il treno dall’aeroporto Schiphol alla Stazione Centrale è comodo, veloce e perfettamente indicato.

Stazione Centrale

Scendiamo dal treno e siamo subito immersi nella più perfetta iconografia di Amsterdam: da una parte l’acqua placida del mare, dall’altra un parcheggio di biciclette così affollato da rendere difficile capire come i proprietari possano riconoscere la propria.

Il nostro albergo, Bellevue (ora nella catena Ibis) è situato proprio di fronte alla stazione. Si tratta di un hotel organizzato con l’obiettivo di offrire il massimo confort con la minima spesa, e non ci delude. A parte gli spazi un po’ limitati, ma bene organizzati, non manca nulla. Nemmeno la prima colazione, offerta a pianterreno con vista all’aperto.

Nello stesso stabile c’è un autentico “bruine kroeg”: il Café Karpershoek, il più antico della città, datato 1606, perfetto per una birra dopo cena.

Facce da pub

Siamo già sul corso pedonale che conduce a piazza Dam, il centro di Amsterdam, dove sorge il Palazzo Reale.

Palazzo Reale

Cosa ricordo, cosa resta impresso, dopo anni, di una città come Amsterdam?

I canali, ovviamente, che si snodano paralleli, a semicerchio, e abbracciano tutta la città. Sono un’immagine caratteristica e forte, circondati dai palazzi alti e stretti e costeggiati dai viali dove tutti corrono con le biciclette, velocissimi e abilissimi.

A proposito, sapete perché le case di Amsterdam sono alte e strette? Perché il prezzo dello spazio dove appoggiare le fondamenta era altissimo, e si sfruttava quindi la linea verticale.

Siamo saliti su una delle torri di Amsterdam, da cui si vede tutta la città dall’alto, a 360 gradi.

Abbiamo fatto (immancabile!) un giro nel porto e nei canali con il Canal Bus

Abbiamo incontrato la Elephant Parade: tantissimi elefanti scolpiti e decorati nei modi più fantasiosi e colorati.

In pieno centro c’è un quartiere antico che è rimasto inalterato: il Cortile delle Beghine

Ad Amsterdam si gioca a scacchi

… e naturalmente ci sono i Coffee Shops

Abbiamo visitato il Museo Van Gogh, direi un dovere: per quanto noti, i quadri di Vincenti Van Gogh sono, ogni volta, una capriola per gli occhi.

Avremmo visitato volentieri anche il Rijksmuseum, se non fosse che era chiuso: pochissimi i quadri esposti.

Finalmente troviamo anche un mulino a vento!

Ma due esperienze mi sono rimaste nella mente e nel cuore: la visita alla casa di Rembrandt e alla casa di Anna Frank.

Nella casa di Rembrant, oltre alla possibilità di osservare l’ambiente in cui è vissuto, viene proposta una interessantissima dimostrazione della tecnica di acquaforte, tecnica che il pittore amava e che ha esercitato molto.

Immagine dal sito ufficiale Het Rembrandthuis

La casa di Anna Frank è passare dalla commovente teoria del suo diario alla durissima realtà: si gira per gli ambienti, le camere, la cucina, il bagno, e immediatamente si realizza che un gruppo di persone, nemmeno parenti tra loro, hanno vissuto qui nascosti, che durante il giorno non potevano fare il minimo rumore per non farsi scoprire. Non un oggetto poteva cadere, non un filo d’acqua poteva uscire dai rubinetti, non una finestra si poteva aprire, e nemmeno avvicinare.

La famiglia Frank, tedesca, ebrea, lascia la Germania nel 1933 e si sposta in Olanda, con la speranza di sfuggire alle leggi razziali promulgate da Hitler. Nel 1940 l’Olanda viene occupata dall’esercito tedesco, e il regime antisemita entra in vigore.

Il 6 luglio 1942 Otto Frank con la moglie Edith Frank-Hollander e le figlie Margot e Anne si nascondono in questa casa, dove al pianterreno ha sede l’azienda di Otto Frank. Dopo qualche tempo si uniscono a loro Hermann e Auguste van Pels con il figlio Peter, e Fritz Pfeffer.

Durante il periodo di clandestinità, il gruppo di ebrei è aiutato e supportato dai nuovi proprietari della ditta di Otto Frank, subentrati per motivi formali, in quanto agli ebrei era vietato avere attività proprie. Queste persone sono Victor Kugler, Jo Kleiman, Jan Gies e sua moglie, Miep: con incredibile coraggio portano cibo, altri generi di prima necessità, e persino giochi e libri per i ragazzi.

Vivono in questa condizione di promiscuità e paura per più di due anni, finchè sono traditi, e deportati.

Dopo il tradimento, i benefattori vengono portati in prigione, ma sopravvivono alla guerra.

Miep Gies trovò il diario di Anna Frank, e non volle leggerlo né aprirlo nella speranza di vedere, un giorno, Anna tornare. Dopo la guerra si rassegnò e consegnò il diario a Otto Frank, che dopo qualche tempo decise di darlo alle stampe.