(8 – 12 marzo 2019)

Gerusalemme, la città delle contraddizioni, la città della fede più pura e del paganesimo più sfrenato, la città finta perchè quasi tutta rifatta o inventata, la città dove tutti, una volta, dovrebbero andare per guardare dove affondano le nostre radici. Non in Cielo, ma in un punto preciso sulla Terra.

8 marzo

Arrivare in Israele può apparire complicato, ti fanno un sacco di domande sia all’andata (“c’era qualcuno mentre preparava le valigie che avrebbe potuto inserire qualcosa all’interno?” ” ……”) che all’arrivo, in più il volo sembra in overbooking e forse non partiamo, invece va tutto benissimo e arriviamo persino puntuali.

Il taxi collettivo Nesher ci porta a gran velocità da Tel Aviv, di cui vediamo solo l’aeroporto Ben Gurion, al nostro hotel, Ibis, a Gerusalemme.

E’ venerdì sera, sta per iniziare lo shabbath, la festa ebraica che impone circa 24 ore di rifiuto dal fare qualunque cosa, incluso parlare per gli ebrei più osservanti, e infatti appena usciamo dall’hotel vediamo che i negozi e i locali sono tutti chiusi, la strada è vuota di mezzi pubblici. Venerdì sera è però la serata giusta per assistere alla preghiera, devotissima, al Muro del Pianto, che qui non è affatto definito così, qui è il Muro Occidentale o Kotel.  Il Muro è quanto rimane dell’antico Tempio di Salomone, distrutto da Nabucodonosor II nel 586 a.C., poi ricostruito, e infine distrutto dall’imperatore romano Tito nel 70 d.C. I fedeli infilano dei foglietti con le loro preghiere nelle fessure della pietra.
Da secoli gli ebrei si recano presso il muro di contenimento del Monte del Tempio, eretto due millenni fa, per pregare e piangere la distruzione del Primo e del Secondo Tempio.

Il nostro hotel è sulla Jaffa Street, dista pochi minuti a piedi dalla posta di Jaffa dove inizia la città vecchia: posizione davvero strategica. Appena passata la porta sbagliamo strada e ci inoltriamo nel quartiere armeno, poi troviamo il percorso giusto, una lunga discesa intervallata da gradini di pietra, dove si aprono numerosissimi negozi che vendono souvenirs o spezie, e seguendo la massa di turisti, molti, ed ebrei, moltissimi tra cui molti ortodossi con cappelli e cernecchi, arriviamo al Muro del Pianto.

Il nome che si riconosce in italiano deriva dal fatto che qui gli ebrei, durante il periodo ottomano, venivano a piangere la distruzione del tempio, ma poi molte cose sono successe.

Si entra dopo un controllo delle borse, e si arriva in una enorme piazza in pendenza. Il muro è laggiù, nel mezzo ci sono cancelli divisori che indirizzano i fedeli a passare in precisi corridoi. Davanti al muro, una folla che sembra esclusivamente maschile, nera, compatta, canta inni sacri, si dondola, si appoggia al muro con devozione.

L’impressione è molto forte: un muro semplice, spoglio, vecchio di migliaia di anni ma tutt’ora massiccio e imponente, offre accoglienza alle preghiere e alle lodi di noi poveri mortali. L’energia potente che scaturisce dalla pietra, inamovibile e verticale da sempre, sembra la risposta giusta all’incertezza dell’uomo che non solo conosce la sua mortalità, ma non conosce il suo futuro, tutt’altro che fermo e stabile.

Leggerò poi, dopo poche ore, che nella mattinata erano scoppiati disordini tra gli uomini e il gruppo delle “Donne del Muro” che si battono da tempo per avere lo stesso spazio e lo stesso tempo di preghiera degli uomini.

Ritorniamo alla ricerca di un ristorante dove mangiare qualcosa, ricerca non facile, sebbene alla fine fruttuosa, perché è lo shabbath, e i locali aperti sono pochi. Troviamo un pub, e anche se non è cucina israeliana, mangiamo bene.

9 marzo

Oggi è shabbah. Gli ebrei non possono fare nulla. Usciamo dalla camera dell’albergo per andare a fare colazione e prendiamo l’ascensore (siamo al settimo piano). L’ascensore si ferma a ogni piano, apre le porte, le richiude senza cha salga o scenda nessuno. Oggi gli ebrei non possono nemmeno schiacciare il bottone dell’ascensore! Cominciamo a inquadrarli …

La giornata comincia, puntuale alle 8,30, in compagnia della guida Massimo Conte e di una coppia di simpaticissimi napoletani, Pietro e Mena. Un taxi ci porta in cima al Monte degli Ulivi. Visitiamo la Chiesa dell’Ascensione, e prendiamo immediatamente atto di come ebrei e musulmani possano vivere fianco a fianco in armonia. Questa chiesa, che ha all’interno una pietra con due impronte che ricordano vagamente due piedi, e che si dice siano le impronte lasciate da Gesù Cristo prima di ascendere al cielo, era una volta parte di un grande complesso bizantino, molto più esteso di come non compaia oggi, e con un’apertura sulla cima per permettere, appunto, l’ascensione. Oggi è una moschea, il tetto è chiuso, c’è il mirhab e il minareto, ma rimane un luogo sacro per i cristiani.

Poco distante, appena sotto, c’è l’ingresso alla Chiesa del Pater Noster, ampia e circondata da un lungo porticato, che porge su un bellissimo giardino panoramico. Questa chiesa è stata voluta e fatta erigere da Elena, madre dell’imperatore Costantino, e sorge sopra una piccola grotta, nella quale si racconta che Gesù abbia insegnato ai suoi seguaci la prima preghiera, il Padre Nostro. Bisogna sapere che gli ebrei non conoscevano la preghiera, solo il sacrificio che consisteva nell’uccidere e poi bruciare un animale. E’ quindi il Cristo che si inventa la parola rivolta a Dio, ed è piuttosto toccante leggere la preghiera del Padre Nostro declinata in tutte (o quasi) le lingue, gli alfabeti e i dialetti del mondo, trascritta su formelle di ceramica di varie dimensioni allineate contro tutti i muri possibili. Ci sono lingue e simboli sconosciuti, e c’è il Padre Nostro in calabrese, in sardo e in milanese.

Ci avviamo lentamente a piedi verso il basso, e costeggiamo un punto panoramico dal quale si ha una bellissima veduta della città vecchia, con la spianata delle moschee, il monte di Sion, il quartiere arabo, le porte di ingresso, mentre sotto di noi si allunga fin quasi a fondovalle il cimitero ebraico, che per tradizione è sempre stato collocato fuori dalla città.

La tappa successiva è molto importante: entriamo nell’orto del Getsemani. Qui Gesù passò le ultime ore prima di essere catturato, pregando perché gli fosse risparmiato quel calice amaro, ma arreso alla volontà del Padre.

Oggi, complice anche la splendida giornata, ci accoglie un giardino curato e ricco di vegetazione, piantumato ad ulivi alcuni dei quali sicuramente pluricentenari (ma non millenari), mentre la chiesa, la Basilica delle Nazioni, costruita sui resti di due chiese preesistenti, non presenta particolari architettonici di grande rilevanza.

Estremamente suggestivo è, invece, il posto dove da tradizione sarebbe stata sepolta Maria, la madre di Gesù. La discesa di una lunga scalinata ci conduce in una cripta ortodossa: sulle nostre teste centinaia di antiche lampade di ogni forma e colore illuminano in modo mistico l’ambiente, la quantità di persone presenti non permette di leggere le immagini dell’iconostasi, ma solo di apprezzarne la grande bellezza. La tomba della Vergine è chiusa in una grotta ancora più profonda, coperta di biglietti con preghiere e invocazioni.

Siamo ormai all’altezza della città vecchia, nella quale entriamo dalla Porta dei Leoni.

Ci fermiamo in quella che, sempre secondo tradizione, è il luogo di nascita di Maria, ovvero dove sorgeva la casa di Anna e Gioacchino. La celebrazione di questo ricordo è nella cripta, dove c’è un altare e un mosaico piuttosto grossolano. Notevole è invece la chiesa che sorge sopra, un edificio crociato ancora intatto, di grande bellezza, armonia e maestosità.

A fianco della chiesa ci sono gli interessantissimi resti delle vasche di Bethesda, un antico complesso di cisterne per la raccolta dell’acqua molto ben congeniato. Gli scavi successivi hanno fatto emergere livelli diversi delle vasche, sulle quali nei secoli sono state fatte altre costruzioni romane e crociate, oggi presenti solo come resti ben riconoscibili. Qui Gesù compì il suo primo miracolo, la guarigione del paralitico.

Ci avviamo ora per la via Dolorosa, il percorso creato intorno al 1200 dai frati Francescani, che ripercorre idealmente la via Crucis, con le diverse stazioni. Ci fermiamo presso alcune di queste, sebbene nessuna risulti di qualche particolare pregio artistico nè religioso, visto che si tratta di un percorso inventato. Visitiamo la grotta dove Cristo venne tenuto prigioniero prima di essere crocifisso, insieme con Barabba (altro personaggio di incerta veridicità).

Facciamo una piacevole tappa nell’Austrian Hospice, una bella costruzione eretta e curata dagli austriaci e nata come ricovero per i lor pellegrini Oggi c’è una ricca pasticceria, e soprattutto una terrazza panoramica dalla quale si gode la vista di Gerusalemme a 360°.

Arriviamo alla Basilica del Santo Sepolcro. Sebbene possa considerarsi uno dei luoghi di culto più preziosi e più alti per la cristianità, la tentata (e infruttuosa) visita si dimostra molto faticosa, e soprattutto lontanissima da quel bisogno di raccoglimento e astrazione che il contatto con il sacro imporrebbe. La quantità di persone, pellegrini e turisti, è impressionante. Ovunque c’è folla che impedisce di continuare. Tentiamo una coda per entrare nel Sepolcro, ma in quel momento scatta la preghiera dei copti e tutto si ferma. La preghiera dura circa tre quarti d’ora. Cerchiamo una strada alternativa, ma rimaniamo bloccati da una processione dei frati francescani, cattolici. Rinunciamo, ci riproveremo. Sempre all’interno della chiesa, ma opposta all’edicola del Santo Sepolcro, è inglobato quello che rimane del Golgota, dove Gesù venne crocifisso. Qui la folla è meno fitta, e riusciamo a passare e vedere il foro nella montagna dov’era conficcata la croce. Si tratta sempre di ricostruzioni, ma la sacralità del luogo è intatta.

La visita si conclude con la discesa nella cripta dove si racconta che Elena trovò le tre croci del Golgota.

Usciamo dalla Basilica un po’ frastornati, saliamo verso il quartiere armeno e, entrando dalla porta di Zion, saliamo fino alla chiesa di San Pietro in Gallicantu. Siamo nel luogo dove Pietro rinnegò di conoscere Gesù “per tre volte, prima che il gallo canti”.

Come prima tappa la nostra guida Massimo ci porta ad osservare un bel plastico realizzato in tempi recenti, ma che riporta la struttura della città di Gerusalemme un migliaio di anni fa. Si riconoscono cardo e decumano, le costruzioni più antiche, come la Chiesa del Santo Sepolcro, e il percorso delle tre valli che ricordano la lettera S dell’alfabeto ebraico, lettera che si identifica con la figura di Dio. Ecco perchè Gerusalemme è la città eletta.

Ci dirigiamo verso la chiesa che, esternamente si presenta gradevole, a croce greca molto compatta e con bei mosaici intorno, mentre all’interno rivela un’architettura recente e, ancora, di limitata bellezza. Più interessante è la discesa attraverso le fondamenta delle due chiese preesistenti, una bizantina e una crociata, fino a una piccola stanza sotterranea dove ci si raccoglie per la lettura di una pagina della Bibbia.

Fuori dalla chiesa si è ancora una volta confortati dallo splendido panorama della città vecchia, e dai resti delle civiltà passate, quando vivevano nelle caverne scavate nella roccia carsica, con ingegnosi sistemi per raccogliere l’acqua e conservare i cereali.

L’ultima tappa della giornata è alla Tomba del re David, dove entriamo e siamo divisi tra uomini e donne.

Lo spazio femminile permette di vedere solo una nicchia nel muro, e di quello ci dobbiamo accontentare. Si dice che la donna ebrea non abbia bisogno di studiare o di capire perchè, a differenza dell’uomo, è già vicina a Dio, ma non sempre questa versione convince. Appena fuori dallo spazio sacro davanti alla tomba, un lungo corridoio dove alcuni bambini giocano e corrono. C’è una donna che prega con il viso rivolto verso il muro e la Bibbia in mano, un’altra bada ai piccoli. Nemmeno nel momento della preghiera le donne possono spogliarsi del loro ruolo, che assolvono a turno, aiutandosi, per permettersi un momento di proprio raccoglimento. Terminiamo nella Chiesa della Dormizione, dove si dice che Maria sia caduta nel sonno eterno.

E’ il tramonto, lo shabbah sta per finire, la città si sveglia.

Ceniamo al ristorante Shanti, molto bene.

10 marzo

Con la nostra preziosa guida Massimo ci avviamo subito, attraversando il quartiere Mamilla, verso il Monte del Tempio, Al Haram Ash Sharif, luogo sacro per ebrei, cristiani e musulmani. L’unico accesso consentito ai non musulmani è attraverso una passerella di legno sopra la piazza che ospita il Muro Occidentale, e dalla quale si intuisce molto bene la struttura così ondulata della città di Gerusalemme.

L’immagine della spianata è impressionante, per le dimensioni, per l’ordine regolare e preciso con il quale si alternano archi di accesso e piccole costruzioni, e forse anche per il bellissimo cielo azzurro che ci sovrasta. Il primo edificio che vediamo, ahimè solo dall’esterno, è la grandiosa Moschea Al Aqsa, che in passato era grande quasi il doppio. Ma quello che veramente sovrasta tutto, sia fisicamente che tradizionalmente è la Cupola della Roccia, realizzata in oro zecchino su dono del re di Giordania, magnificamente decorata di maioliche, e inaccessibile ai non musulmani. Il luogo è il terzo in ordine di importanza per i musulmani, dopo la Mecca e la Medina. E’ importante per gli ebrei, perché è il luogo dove sorgevano il primo e il secondo Tempio. Ed è importante per i cristiani perché si dice che il tempio contenga una grande roccia, emergente dal monte Moriah, con il cui materiale Dio ha forgiato Abramo; ed è il luogo dove Abramo quasi sacrificò il proprio figlio Isacco; infine si dice che il re Salomone collocò sulla pietra l’Arca dell’Alleanza.

Come dicevo, la moschea è aperta solo per i musulmani! Per fortuna la zona intorno è interessantissima: ci sono le fontane dove purificarsi, una costruzione aerea e aperta che pare essere servita come modello architettonico per il tempio stesso, altre moschee di grande bellezza e armonia, fino all’arco di accesso al suq El Qatanin, bellissimo con le sue sculture di preciso stile mamelucco.

Ma è tutto l’insieme, silenzioso, maestoso, lontano dai rumori seppur così vicino al traffico umano che passa a poca distanza, a rendere questo luogo ricco di sacralità. Non mancano bambini che giocano e donne che li badano, a rendere vivo un luogo che ha una storia vecchia di millecinquecento anni.

Scendiamo dalla spianata, attraversiamo il suq e rapidamente torniamo al Kotel, che fa da perimetro allo spazio appena visitato.

È il momento di accostarci al Muro. Ci dividiamo, lo spazio femminile è molto meno ampio di quello per gli uomini, ma non per questo meno suggestivo. La facciata principale del muro è occupata da una lunga fila di donne che pregano, piangono o semplicemente stanno raccolte. Altre che cercano uno spazio più intimo si appoggiano a una porzione di muro laterale, altre ancora pregano sedute, o in piedi dondolando. La devozione è autentica.

La forza che arriva dal muro fa breccia anche su di me, e lascio tre bigliettini.

Ci avviamo ora verso nuovi percorsi. Incontriamo una bella costruzione a due piani, molto ben tenuta, aperta con archi sia sopra che sotto: una casa destinata agli ebrei meno abbienti, costruita nel 1871 dal barone Rothschild

Passiamo a fianco della grande Sinagoga Hurva, dove è esposta l’originale Menorah d’oro, il candelabro a sette braccia costruito rigorosamente secondo i dettami imposti da Dio.

Incontriamo un interessantissimo sito archeologico che ha portato alla luce il cardo romano, con le colonne, le mura di separazione e il percorso che svolgeva, duemila anni fa

Arriviamo finalmente al Cenacolo. Questo spazio non offre nessuna certezza storica che possa trattarsi proprio del luogo dove Gesù ha consumato con gli apostoli l’ultima cena. E’ però un salone di grandissima bellezza, con le volte a crociera che preannunciano lo stile gotico flamboyant, finestre di vetri colorati con decori arabi volute da Solimano il Magnifico, il mirhab forgiato dai mamelucchi, e nonostante tanta diversità, una grande armonia d’insieme.

Ripassiamo davanti alla Basilica del Santo Sepolcro, dove non proviamo nemmeno a entrare, vista la quantità di persone presenti. Andiamo verso il coffee shop della Christ Church, dove scopriamo che sul retro c’è, oltre a un bellissimo giardino, lo spazio di accoglienza, un piccolo museo dedicato alla storia di Gerusalemme con un bellissimo plastico, e una bella chiesa che unisce i simboli cristiani ed ebraici, dove mi sento subito accolta.

Lasciamo ora la città vecchia, ormai visitata in modo esaustivo, per dedicare qualche ora alla città più recente, fuori dalle mura.

Entriamo subito in un bellissimo parco profumato dalle numerose piante di rosmarino, con una bella fontana nel mezzo, e passiamo in un quartiere residenziale molto esclusivo, Yemin Moshé: silenzioso, fiorito, apparentemente deserto.

Da qui incontriamo il mulino a vento Montefiore, antico dono di sir Moses Montefiore, quindi ci avviamo alla visita della città costruita alla fine del 1800. Ci dirigiamo verso nord, in una zona ben curata e ben seguita i cui abitanti sono esclusivamente Ebrei: molti bei palazzi, intervallati da hotel elegantissimi come il King David o il Waldorf Astoria. Si tratta di osservare una città che, seppur famosa per la parte vecchia, sta crescendo, e molto bene, ricca di vitalità

L’ultima tappa è al mercato Mahane Yehuda, dove si alternano banchi di proposte alimentari, pur molto variate, con piccoli locali e birrerie. Insomma, un luogo vivo, dove se si ha fame c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Alla sera la scelta cade su Diner, in linea con le precedenti esperienze.

11 marzo

Via da Gerusalemme, oggi. Andiamo nel deserto per visitare monasteri, oasi e vecchie ville. La prima tappa è dedicata al Monastero di San Giorgio. Per raggiungerlo, dopo aver lasciato una trafficatissima Gerusalemme, prendiamo la strada dei Patriarchi, ci portiamo in Cisgiordania (mentre, alla nostra sinistra, corre il muro di confine con i territori palestinesi) e raggiungiamo il deserto del Wadi Qelt.

Lasciamo la strada principale per un tortuoso percorso in mezzo alle rocce rosse e bianche, quindi lasciamo anche l’auto e ci avviamo a piedi, scendendo lungo un sentiero che costeggia il fianco verticale di una roccia in arenaria, mentre dalla parte opposta il panorama è aperto e permette di vedere acqua che scorre in fondo al wadi.

Dopo una passeggiata abbastanza lunga, ma in discesa, finalmente compare il Monastero: una chiesina scolpita nella roccia, impreziosita da due palme davanti alla facciata, e intorno altre abitazioni in sasso, molto ben manutenute, che danno la stessa sensazione di essere tutt’uno con la roccia. Saranno il silenzio assoluto, la vegetazione desertica e le fioriture prepotenti nate grazie a solo poche gocce di pioggia, l’imponenza delle montagne verticali, ma la sacralità del luogo è palpabile.

La seconda tappa è il Parco Nazionale di Qumran: qui il popolo degli Esseni visse e studiò per circa duecento anni. Gli Esseni erano una popolazione molto pacifica e generosa, che viveva in armonia lavorando la terracotta, e della quale si dice potesse aver fatto parte anche Gesù. Dal punto di vista archeologico, questo luogo è importante perchè qui sono stati trovati i “Rotoli del Mar Morto”, preziosissimi manoscritti che riportano parti dell’Antico Testamento, oltre a usi e leggi del tempo. Oggi i rotoli originali sono conservati al Museo di Israele, ma il sito è tutt’ora molto interessante in quanto, nei resti, è perfettamente riconoscibile quello che era lo stile di vita degli Esseni. Si riconoscono il refettorio e la biblioteca, i forni per cuocere i manufatti in creta, e le vasche dove si immergevano regolarmente per i bagni rituali di purificazione.

Arriviamo infine e finalmente a Masada. Siamo vicini al Mar Morto, quindi circa 400 metri sotto il livello del mare. La giornata è bellissima e l’acqua del mare, in lontananza, è azzurra come il cielo. Per salire, scegliamo la comoda funivia: arriviamo sull’altopiano da cui si gode una bella vista sul mar Morto, i monti della Giordania, e i resti degli accampamenti romani che assediarono la fortezza circa 2000 anni fa. Proprio per questi reperti della civiltà e della cultura romana, Masada è oggi Patrimonio Unesco dell’Umanità.

La parola masada significa fortezza, ma è molto di più: qui si volle installare il re Erode il quale, in cerca di un luogo inespugnabile, decise di costruire un palazzo ispirato all’architettura conosciuta a Roma. Erode era ricchissimo e disponeva di moltissimi schiavi, così si spiega la vastità della costruzione: stanze per gli ospiti, bagni, piscine e palestre, e infine, nella parte più arroccata e panoramica, le sue stanze, tutt’ora in parte affrescate e con i pavimenti ancora coperti da parti in mosaico.

La bellezza di quanto deve essere stato si intuisce, così come il lusso: basti pensare che ci sono ancora cisterne per l’acqua che fornivano l’acqua corrente agli abitanti del palazzo, ma venivano riempite a mano, o meglio a braccia, dagli schiavi.

Qui, nel 73 a.C, trovarono rifugio gli ultimi ebrei, nella loro strenua resistenza all’invasione dei romani, che alla fine assediarono il palazzo di Erode il Grande e conquistarono la Regione. 

Scendiamo lungo il sentiero dei Serpenti, quattro chilometri tra scale e pendenza.

Ma come si fa a raccontare un posto così? Bisogna vederlo.

E’ quasi l’ora del tramonto. Rientrando a casa facciamo una breve sosta in un kibbutz. Dimentichiamo le organizzazioni comunitarie degli anni ’60 del secolo scorso, dove nessuno era proprietario di niente. Oggi i kibbutz sono piccoli villaggi con abitazioni comode e belle. Qui è stato creato un orto botanico, dove sono presenti piante e alberi adatte al clima desertico, e che oggi è un centro di studi della materia.

La cena, in un ristorante arabo, è poco entusiasmante proprio come le altre, ma è l’ultima prima del ritorno.

12 marzo

In mattinata abbiamo ancora qualche ora a disposizione. Gerusalemme vecchia attrae con un fascino strano e avvolgente. Andiamo verso l’Anastasis e, forse perché è abbastanza presto, riusciamo a entrare nel Santo Sepolcro: una lapide grigia circondata da simboli votivi, dalla quale un sacerdote ci sollecita a una uscita molto veloce. Deve bastare un momento di raccoglimento, ma può essere sufficiente.

Lasciato l’albergo, salta l’appuntamento con Nesher, prendiamo un taxi verso l’aeroporto Ben Gurion.